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Facebook, che oggi vale 100 miliardi di dollari, il primo febbraio ha depositato il dossier per entrare in Borsa.

Come fa un social network gratuito a valere tanti soldi? E’ la magia moderna della speculazione, scrive il sito Slate.fr : “Il valore borsistico di Facebook non ha nulla a che vedere con il suo valore reale (attorno a 3.7 miliardi di dollari) ma questo sembra non preoccupare nessuno. Anzi, gli investitori scommettono sul suo potenziale, convinti che Mark Zuckerberg sia un genio “che riuscirà a monetizzare ancora di più la sua azienda. Ancora non si sa come farà ma di sicuro lo farà.”

La verità è questa : quel che dà a Facebook il valore dell’oro è la combinazione di due elementi : i dati personali degli utenti, ossia tutte le informazioni che Facebook ha su chi vi accede, moltiplicati per il numero degli utenti, ad oggi circa 845 milioni.
Per i pubblicitari e le imprese si tratta di un vero tesoro, seppur un tesoro virtuale. Ogni volta che Mark Zuckerberg ha cercato di usare in maniera concreta queste informazioni (modificando le regole della privacy dei dati) gli utenti hanno reagito con forza, minacciando di andarsene e costringendo Zuckerberg a fare marcia indietro.
Per la Borsa però un tesoro rimane un tesoro anche se è virtuale, dato che ci si può speculare. E qui si entra nel secondo effetto psicologico : se potenzialmente l’azienda può valere tanto, allora si deve assolutamente acquistare azioni appena sarà quotata in Borsa.
Una legge dell’offerta e della domanda che automaticamente fa aumentare il valore delle azioni e in questo modo si raggiungono cifre totalmente sconnesse dalla realtà.

Chi acquisterà le magiche azioni di Facebook lo farà pensando che troverà qualcuno disposto ad acquistarle ad un prezzo maggiore e questa persona vorrà acquistarle perché penserà che potrà rivenderle a qualcun altro facendo un buon guadagno, eccetera.
Questo è, in gergo, quello che si direbbe una bolla. In generale, in questo meccanismo c’è sempre il momento del ritorno alla realtà, dove gli investitori finiscono per guardare la vera cifra d’affari della società e si rendono conto che il valore borsistico è molto al di sopra del valore reale.
A questo punto molti si fanno prendere dal panico e vendono al ribasso e qui la bolla scoppia, come era accaduto nel marzo 2000 con la prima bolla di Internet.”