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Malgrado l’intensificarsi dell’insurrezione armata e le pressioni internazionali, il presidente siriano Bachar al Assad resiste e non cede. Nel suo discorso del 10 gennaio aveva qualificato la crisi “una battaglia senza precedenti nella storia moderna della Siria.”

Diverse fonti autorizzate si accordano nel dichiarare che potrebbe restare saldo al potere per diversi mesi ancora, mentre più incerte sono le previsioni sul lungo termine.
Abilmente, al Assad ha autorizzato l’entrata nel paese degli osservatori della Lega araba, il che gli ha permesso di guadagnare tempo. Con i manifestanti usa la tecnica del bastone e della carota : amnistia dei prigionieri politici, offerta di dialogo immediato con l’opposizione, promessa di una nuova Costituzione, elezioni pluraliste entro l’estate.

La sua sopravvivenza sul lungo termine dipenderà – secondo diversi commentatori – dalla capacità dell’Iran di preservare la propria stabilità. Indebolito dalle sanzioni internazionali, al centro di manovre tese a indebolire il suo programma nucleare, anche l’Iran pare volgere a un cambio di regime.
Stati Uniti e Israele – sostenuti da diversi paesi europei e arabi per motivi commerciali, religiosi e strategici – hanno lanciato una vasta offensiva contro l’alleanza Teheran-Damasco-Hezbollah. Questi tre alleati sanno che cadranno insieme o vinceranno insieme.
Se l’Iran cadrà sotto l’attacco israelo-americano, anche il regime di Damasco potrebbe cadere. Privato dei suoi partner esteri, il gruppo armato palestinese Hezbollah potrebbe subire un nuovo tentativo di distruzione da parte di Israele, come già era accaduto nel 2006.

Bachar al Assad è essenzialmente preoccupato dal pericolo di questa cospirazione straniera sulla Siria. Per lui si tratta dell’ultimo complotto di una lunga serie : quando l’Iraq era stato invaso nel 2003, anche la Siria si era sentita minacciata. Le forze alleate avevano sfruttato l’uccisione del ministro libanese Rafik Hariri nel 2005 per espellere le forze siriane dal Libano e cercare di far cadere il regime di Damasco.
Israele aveva invaso il Libano nel 2006, aveva bombardato una “installazione nucleare siriana” nel 2007, nel 2008 aveva attaccato la Striscia di Gaza e ogni volta aveva minacciato la Siria.
Al Assad considera i manifestanti come gli alleati dei nemici stranieri. Non vede legittimità nelle proteste e il fatto che molti manifestanti abbiano preso le armi, ucciso soldati e poliziotti, distrutto strutture pubbliche serve al suo scopo.
Il presidente è determinato a colpire duramente questi terroristi : questa è la sua percezione degli eventi ed è così che giustifica la sanguinosa repressione di questi dieci mesi.
Metodi di repressione brutali che hanno aperto una faglia profonda nella società siriana, accentuato le tensioni tra le comunità e rovinato l’immagine del paese. Come potranno i siriani imparare nuovamente a vivere insieme ?

A favore del regime gioca la fedeltà persistente dell’esercito e dei suoi servizi operativi. Le diserzioni sono poche e fino a quando questa sarà la situazione, l’opposizione non riuscirà a far cadere al Assad. Non può nemmeno contare su un’iniziativa militare occidentale, nessuno è disposto a intervenire ricorrendo alla forza.
La Turchia potrebbe intervenire, ma solo se fossero minacciati i suoi interessi, nel caso in cui Damasco sostenesse attivamente il Partito dei lavoratori del Kurdistan, il PKK, che ha preso le armi contro il governo turco.
Russia e Cina continueranno a proteggere la Siria al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite mettendo il loro veto a ogni risoluzione volta a colpire il regime di al Assad, che per impedire un’internazionalizzazione della crisi può contare anche su Iraq, Algeria e Sudan.
Il declino bellico americano – il ritiro dall’Iraq, lo smacco dell’Afghanistan e i tagli nel bilancio della Difesa – gioca anche a favore della Siria.
Un asso nella manica del presidente è l’incapacità dell’opposizione di raggrupparsi dietro un leader o un progetto politico comune e il fatto che buona parte della popolazione continua a sostenere il regime.
Le minoranze quali gli Alaouiti, il cristiani e i drusi, così come gli agenti dello Stato, i funzionari, i grandi commercianti di Damasco e Aleppo e la nuova borghesia nata dal modello economico neo liberale, guardano con sospetto a un cambio di regime e non si sentono rappresentati né dai manifestanti né dall’opposizione in esilio.

(Ticinolive/JeuneAfrique.com)