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Dopo anni di critiche sul malfunzionamento della Logistica è giunto sui banchi della Gestione il Rapporto di indagine voluto dal Consiglio di Stato, dopo lo scoppio del bubbone sul caso Chit. Nello stesso si evince in maniera eloquente la disfunzionalità di questo importante servizio. Una disfunzionalità che è andata avanti per anni, senza che nessuno concretamente ha cercato di porvi rimedio.

Quando una commissione deve aspettare mesi per ricevere delucidazioni, quando i commissari preposti stentano a ricevere gli atti, i documenti, le risposte a domande precise, quando un parlamentare deve persino andare nei vari uffici a far passare personalmente gli incarti delle fatture per cercare di capirci qualcosa, ecco che il risultato non può essere che quello deciso dal Gran Consiglio.
Un modo di lavorare che molti di noi hanno più volte denunciato e che non ha fatto altro che far crescere il sospetto, a volte la frustrazione, per non dire altro.
La lettura attenta del rapporto di indagine, oltre a svelare lacune e superficialità, apre la strada a tante, troppe domande, che in un modo o nell’altro dovranno trovare risposte, e che assolutamente non possono essere lasciate in sospeso o messe a tacere sotto la polvere.
Il fine ultimo dell’attività dello Stato e dell’amministrazione è quello del massimo e buon servizio ai concreti e reali bisogni del cittadino e del Paese.
La ripartizione di questi servizi così come l’utilizzo delle risorse e del denaro pubblico non può discostarsi da una cultura e da una mentalità che hanno come punti cardine l’equità, l’onestà, la professionalità e la responsabilità!

Apprendere che nei casi esaminati spesso non esisteva un’offerta scritta, non c’erano bollettini di computo e neppure una documentazione dell’eseguito, tanto da non rendere possibile la verifica a posteriori se la fattura pagata corrispondesse realmente a quanto realizzato, lascia sgomenti e increduli.
Un modo di fare che sembrerebbe essere diventato la norma, così come norma di comodo sembrerebbe essere stata quella del frazionamento dei mandati.
Un comodo che in diversi casi sa tanto di qualcosa d’altro, ancor più quando si fa passare attentamente il malloppo corposo della miriade di mandati erogati. Una prassi che, a detta di un interrogato, era nota, avallata ma a volte anche esplicitamente richiesta dai diversi funzionari dirigenti.
Pesanti insinuazioni la cui veridicità dovrà essere verificata accuratamente dai colleghi, poiché se così fosse è evidente che le responsabilità di questo andazzo non si potranno fermare al facile siluramento del responsabile della Sezione o di qualche altro funzionario, ma verranno chiamati in causa anche piani alti di Palazzo.

L’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta è un atto necessario che non si è potuto evitare, anche perché va salvaguardato chi svolge il proprio lavoro con onestà e oggi si sente immischiato ingiustamente in faccende poco chiare.
Ma l’istituzione di questa inchiesta è soprattutto un atto di grande responsabilità e di notevole portata politica che dobbiamo al Paese e al buon nome delle nostre Istituzioni.
L’accertamento di eventuali responsabilità, il ripristino della legalità e dell’ordine così come la tutela dell’immagine delle Istituzioni è un compito imperativo di noi parlamentari. A Carlo Luigi Caimi, che il Parlamento ha chiamato ad assumere l’onere e l’onore della presidenza di questa commissione, formulo a nome del Gruppo i migliori auguri di buon lavoro.

Fiorenzo Dadò, capogruppo PPD in Gran Consiglio