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La Costituzione non è una giostra a pagamento su cui sedere capricci, desideri, legalismi accademici o ripicche politiche. Ne snatureremmo il ruolo e la pace sociale se l’utilizzassimo come una lista della spesa, altri Paesi a noi vicini insegnano, purtroppo.

E’ la Carta che un Popolo (non lo Stato e non la Nazione) si dà per enunciare e perpetuare valori e fini ultimi nei quali crede; non è principalmente un elenco di mezzi o strumenti sindacabili a seconda dei tempi, delle epoche, dei gusti e delle circostanze.
Raccogliere 10’000 firme per poi far votare e scrivere in questa Carta fondamentale che i Comuni del Sopraceneri del Locarnese e del Bellinzonese sono obbligati a fusionarsi, che tra l’altro è uno strumento amministrativo burocratico opinabile anziché un valore e un fine ultimo, fa a pugni con il ruolo che ha la carta Costituzionale e ancora di più con la libertà.
A scanso di equivoci ammiro ciò che Lugano ha saputo fare partendo dal basso e da oltre vent’anni e diventando per fortuna il vero motore del Cantone, ma circostanze uniche, metodo geniale e politici eccezionali non sono clonabili né ripetibili altrove.
Sarebbe un errore colossale pensare di riprodurre questo modello vincente nel Sopraceneri.

Avremo modo di discutere di questi aspetti e di altre faccende tecniche finanziarie nel corso delle campagne propagandistiche dei pro e dei contro dei prossimi mesi e anni.
Ciò che mi sta a cuore ora è l’aspetto della libertà, non solo quella che si vede, ma anche quella che non si vede come diceva Frederic Bastiat.
Elenco, in modo sparso, solo alcuni punti che meriteranno un approfondimento e un dibattito civile senza pregiudizi più in la.
Questa iniziativa rafforza la cultura dominante che: spinge l’atomizzazione orizzontale della società (ognuno faccia per sé), promuove i concetti di famiglia allargata-modulare in antitesi al nucleo famigliare coeso, incita il centralismo statale e ora il Comune astratto. In sostanza tra il cittadino e lo Stato nessuna interferenza intermedia, cioè salta il fondamento del federalismo e della sussidiarietà svizzeri.

Il Comune anonimo e artificialmente allargato allontana il cittadino dal prendersi le responsabilità, il controllo e le iniziative immediate e prossime a dove vive, delega ad altri, ad un ente superiore senza accorgersene.
Entriamo nel vivo di una ideologia di costruttivismo sociale e di ingegneria politica (scientifica) calata e imposta dall’alto con il trucco della decisione democratica a maggioranza. Ci troveremmo molto vicini a ciò che Tocqueville definiva il “totalitarismo della maggioranza” visto che a votare è chiamata la stragrande maggioranza dei cittadini del Cantone non toccati direttamente dal tema.
Gli studi econometrici e le simulazioni ci diranno che “più grandi” uguale più benessere e più progresso. L’econometria delle perizie dei fusionisti non ci dirà però quale benessere, quale progresso; non ci convincerà che due zoppi se messi assieme diventano campioni dei 100 metri, che due poveri se sommati fanno un ricco. Il criterio fondamentale e ultimo, per imporre una fusione o meno, non può essere finanziario, tecnico, speculativo, organizzativo ma bensì solo uno: c’è o non c’è più vitalità politica locale, voglia di fare.
Laddove questa esiste preserviamola, incitiamola, è la garanzia di libertà anche se commette errori e se a volte è inefficace e inefficiente.

Le apparenti diseconomie ci potrebbero salvare dal” too big to fail”. Evitiamo le rivoluzioni e favoriamo le evoluzioni naturali. Del resto la vecchia URSS creava città ex novo e ci deportava perfino gli abitanti, per un fine ultimo e buono!

Sergio Morisoli