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La moda dell’indignazione a targhe alterne o selettiva furoreggia in Europa e nel mondo occidentale. Nella lunga lista di indignati celebri, si può ora annoverare anche lo scrittore tedesco Günter Grass, già premio Nobel della letteratura, osannato dai salotti radical-chic di mezzo mondo, che la scorsa settimana ha pensato bene di far pubblicare una sua poesia, su alcune importanti testate giornalistiche europee (“die Zeit” si è però rifiutata di pubblicare il poema), lanciando l’accusa allo Stato d’Israele di essere la principale minaccia alla pace mondiale.
L’autore tedesco ignora forse che l’Iran sta preparando il suo arsenale atomico, con il dichiarato intento di distruggere Israele?

Con questa premessa sembrano quasi di secondaria rilevanza le vessazioni e le oppressioni che quotidianamente vengono perpetrate nei confronti delle popolazioni in molti parti del mondo e nei paesi del Medio Oriente.
La primavera araba si è dimostrata tutto fuorché fonte di reale spinta democratica!
In uno strano e apparentemente bizzarro stravolgimento della realtà e delle responsabilità storiche, l’autore si indigna contro lo Stato ebraico che, fino a prova del contrario, non ha mai minacciato l’esistenza di altri paesi, ma semmai ha la dignità di volersi difendere dagli attacchi esterni.
Uno Stato che, per le ragioni ben note, si trova in una situazione estremamente delicata, circondato da nazioni che non vogliono neppure riconoscere la sua esistenza e che, en passant, rappresenta anche l’unica realtà democratica in un’area dove la democrazia non è certo di casa.

La sparata, innescata fors’anche da qualche patologica espressione narcisistica dell’autore, non meriterebbe molti commenti se non fosse per le modalità e gli obiettivi con i quali lo stesso ha portato avanti la sua operazione.
Grass, come ha fatto notare più di un commentatore, forte della sua autorevolezza di scrittore di fama internazionale, ha utilizzato una fredda e razionale strategia di marketing per lanciare il suo atto d’accusa contro lo Stato ebraico, con un obiettivo meramente propagandistico e delegittimante.
Il ministro della cultura iraniano ha subito salutato positivamente le esternazioni poetiche dello scrittore.
Resta il fatto che, sotto il cappello della cosiddetta espressione artistica – la poesia è invero assai bruttarella – si è voluto strumentalmente sdoganare un messaggio politico molto chiaro, che purtroppo già da tempo ha fatto proseliti in diversi ambiti politici e della società civile in Europa.

Una decina di anni fa, Fiamma Nirenstein nel suo libro “L’abbandono”, ha messo bene in luce questo processo, denunciando i luoghi comuni sul conflitto israeliano e palestinese (e qui ci sarebbe molto da dire anche sulla partigianeria di diversi nostri mezzi d’informazione, servizio pubblico incluso), sottolineando la necessità del “risveglio di una coscienza occidentale spaventata a confusa”.
Di quel libro, mi aveva soprattutto colpito la messa in luce, con dati precisi, del ruolo incredibilmente fazioso e arbitrario di alcune organizzazioni internazionali e ONG (organizzazioni non governative) che, invece di puntare il dito indistintamente contro tutti quei paesi che violano sistematicamente i diritti civili e umani, si premurano, con particolare accanimento, di schierarsi contro o a favore di certi paesi e di certe cause.
Se allora è giusto e doveroso criticare senza distinzioni tutti i paesi che incorrono in irregolarità e che commettono abusi, non si può accettare la posizione di chi manipola la realtà storica, veicolando messaggi distorti a fini tutt’altro che nobili.
Il “tamburo di latta” non genera ormai più il suono della ribellione, ma solo un assordante rumore prodotto da chi vuole mascherare la verità.

Iris Canonica
già deputata in Gran Consiglio