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C’era una volta la Svizzera. Un’isola felice al centro dell’Europa che poteva vantarsi di essere un Paese dove la sicurezza dei cittadini rappresentava un valore aggiunto rispetto alle nazioni confinanti.

All’estero era ormai diventata leggendaria la tranquillità, l’ordine e la serenità che regnavano all’interno della Confederazione.
Poi è giunto un fattore che ha sconvolto il nostro quieto vivere e rovinato l’immagine di Paese sicuro, cancellando nel giro di pochi anni la percezione di sicurezza oggettiva e soggettiva degli abitanti.
Il fattore decisivo è stato il voto del giugno 2005 che ha sancito l’entrata della Svizzera nello spazio Schengen e il relativo smantellamento dei controlli sistematici alle frontiere.

Questa scelta democratica ha portato, di buono, l’utilizzo del sistema SIS (Sistema Informatico Schengen) che potrebbe permettere l’arresto di criminali stranieri già segnalati in altri Paesi. Il problema dunque non sta in questo strumento che, anche se non avessimo approvato l’ingresso nell’area Schengen, sarebbe stato comunque favorevole sia per la Svizzera che per l’Unione europea, ma nel presidio delle frontiere.
Le promesse che i declamati controlli di “retrovia” sarebbero stati più efficaci ed efficienti rispetto alla presenza al valico delle guardie di confine, sono infatti andate completamente deluse. A comprova di quanto sopra basti pensare alla preoccupante recrudescenza dei crimini nel nostro Cantone e nel resto del nostro Paese.
Al momento del voto su Schengen, solo l’UDC e pochi altri facili profeti si erano opposti alla sua approvazione.
Da allora l’unico fattore a essere diventato eurocompatibile è stato quello del tasso di criminalità, con valori che ormai avvicinano in tutto e per tutto quelli del resto del Vecchio Continente. Anzi, in alcune zone di frontiera particolarmente esposte, come ad esempio quella di Ginevra con i suoi numerosi valichi incustoditi, i fatti parlano di una situazione particolarmente fuori controllo.

Nei primi mesi di quest’anno dalla città di Calvino è giunto un forte grido d’allarme da parte delle autorità, di fronte a dati che parlano di un’esplosione delle statistiche della delinquenza: 300-400 clandestini maghrebini sono stati riconosciuti colpevoli di più di 6’200 delitti nel periodo 2008-2011. Ciò equivale a 30 reati alla settimana.
In particolare i reati riguardanti il codice penale, secondo i dati dell’Ufficio federale di statistica, sono aumentati del 6% nell’ultimo anno rispetto a quello precedente. Ma se Atene piange, Sparta non ride, in quanto anche dalle nostre parti abbiamo dovuto registrare un sensibile incremento del turismo del crimine.
Di recente pubblicazione, una per tutte, la notizia del fermo di un cittadino rumeno, residente nella regione Lazio, che intendeva portare in Svizzera tutto il necessario per praticare la clonazione di carte di credito ai bancomat, il cosiddetto skimming.
Senza dimenticare la ventina di rapine in meno di due anni ai danni di distributori di benzina e uffici cambi del Mendrisiotto, una delle ragioni che hanno portato al deposito da parte del nostro consigliere nazionale Pierre Rusconi di una mozione che chiede di rescindere l’accordo di Schengen.

Questi episodi, riprendendo i concetti iniziali mi portano a concludere che lentamente stiamo perdendo un nostro vantaggio competitivo, una di quelle condizioni quadro irrinunciabili per il benessere della nostra nazione, la sicurezza della popolazione.
In buona sostanza si tratta di un lavoro civile di decenni, operato da più generazioni, gettato letteralmente alle ortiche, cui si aggiunge anche la beffa dei costi enormemente superiori rispetto a quanto previsto inizialmente (185 milioni di franchi nei primi due anni, invece dei 7.4 annui annunciati).
Se vogliamo tornare ad essere quelli che eravamo prima del 2005, dobbiamo ridiscutere questa adesione e rimettere le Guardie di Frontiera ai valichi e, senza dubbio, potenziare gli effettivi. Investire sulla nostra sicurezza equivale a investire nel nostro futuro, permettendoci di ritornare ad essere quel Paese invidiato da tutti, quello del c’era una volta.

Marco Chiesa
Capogruppo UDC in Gran Consiglio