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Dopo aver preso atto del comunicato stampa del DFE, ho fatto due conti e qualche riflessione. Ed ecco le mie conclusioni.

• Ci viene detto che l’investimento è di 136 milioni di franchi, senza lo stabile, e non di 25.
Peggio ancora! Un’azienda investe una cifra così grande… e sopravvive solo per tre anni?
• Il DFE dimentica di ricordare che da quei 136 milioni bisognerebbe togliere quanto è stato prodotto e acquistato all’estero e tutta la massa salariale spesa per le persone distaccate estere che hanno eseguito i montaggi delle infrastrutture.
Solo così otterremmo l’investimento reale in Svizzera. Il DFE ci può dire a quanto ammonta?
• Non solo. Quanto devono ancora incassare le ditte ticinesi che hanno collaborato con la Pramac? Quanti debiti ha lasciato in giro l’azienda fallita? Quale enorme danno è stato fatto al substrato economico dell’indotto locale?
Ci si rende conto che un’azienda che fallisce non è solo una questione di posti di lavoro perduti?
• Per quanto concerne la tecnologia micromorph, già tre anni fa era conosciuta e usata da altri fabbricanti mondiali. Perciò bisognava pur sapere che Pramac avrebbe operato in una situazione nella quale non sarebbe stata leader.
• Pramac probabilmente era tra i più grandi produttori europei, però era tra i più piccoli produttori mondiali: una considerazione non da poco.
Lo ripeto: la concorrenza asiatica è conosciuta da anni. Ma non solo per Pramac. Anche per gli altri fabbricanti europei, che sono ancora in piedi.
• La storiella del decreto italiano cosiddetto “scudo solare” non convince nessuno. Ritorniamo ai 136 milioni: non è possibile fare un investimento simile solo rivolto al mercato italiano, oltretutto un mercato con una politica altalenante.
In Europa ci sono altre nazioni nelle quali Pramac avrebbe potuto cercare un mercato. Anzi, con un investimento simile avrebbe dovuto prevedere un mercato non solo europeo ma mondiale.
D’altronde in Ticino esiste un altro produttore di pannelli solari e non mi risulta che sia in una situazione disastrosa al punto da prevedere una chiusura della produzione.
• Per quanto concerne i 2,3 milioni per il mercato del lavoro, mi sembra decisamente esagerato spendere una cifra simile per reintegrare 41 persone domiciliate, peraltro a questo punto ancora disoccupate.
• Se poi si parla di perdite per 90 milioni in tre anni, ciò significa che Pramac ha iniziato a perdere ancora prima di produrre.
Sono 82’000 franchi al giorno, compresi i sabati e le domeniche, per 365 giorni all’anno.
• Non dimentichiamo che la casa madre italiana negli ultimi anni ha ricevuto sussidi per centinaia di milioni di euro dal fondo europeo.
• Ma non è finita qui: alla testa di Pramac c’è un signore già presidente della fallita EDIM Suisse SA. E anche per questa di diverse decine di milioni di perdite!
•Ci viene pure detto che il DFE ha eseguito tutti i controlli necessari prima di aiutare Pramac. Ora, se questa vicenda deve insegnare qualcosa, è che le procedure di controllo del DFE sono palesemente carenti.
Che cosa progetta il DFE per migliorarle in modo che simili fallimenti e simili perdite per la collettività non si verifichino più?
• Non pensa il DFE che in futuro, prima di elargire sussidi (specie di somme molto ingenti come in questo caso), dovrebbe pubblicare sul Foglio Ufficiale la procedura, dando ai cittadini la possibilità di visionare pubblicamente l’incarto per un periodo di 30 giorni con diritto di ricorso?

Capisco il DFE nella sua presa di posizione, ma non cambio la mia opinione e continuo a pensare che sia il solito giochetto da Cavalier d’industria della vicina penisola abili a giocare con le scatole cinesi.

Egidio Bronz
Imprenditore ticinese