Presidente, Consiglieri di Stato, Colleghe e Colleghi,
secondo la stima che compare nel Rapporto sulle linee direttive e il piano finanziario 2012-2015, i disavanzi totali nei quattro anni d’esercizio considerati superanno quasi ogni anno i 250 mio di franchi, facendo lievitare il debito pubblico a fine periodo attorno ai 2 miliardi e mezzo. Sgombero subito il campo da possibili malintesi. Il mio gruppo è convinto che uno Stato moderno, solido e al servizio del cittadino non possa prescindere da finanze sane. Se così non fosse potremmo sentenziare l’abbandono di una oculata gestione delle risorse pubbliche, incamminandoci verso pericolose derive, simili in tutto e per tutto agli sviluppi che abbiamo osservato nell’eurozona.
Per fortuna, lasciatemelo dire, grazie a personalità svizzere accorte e battagliere abbiamo potuto evitare di essere totalmente risucchiati da queste preoccupanti dinamiche, tanto da essere considerati, con un po’ di invidia, l’isola felice dell’Europa. E in tal senso, ma guardando alla stretta attualità, come non concordare con la recente dichiarazione del Consigliere federale Ueli Maurer che afferma: “Oggi ogni persona normodotata non vorrebbe che la Svizzera entri nell’Unione europea”.
Detto ciò, il fatto di condividere un obiettivo di fondo, come in questo caso, non determina per forza l’adesione alla via che viene scelta dal Consiglio di Stato per raggiungerlo. Mi riferisco, ad esempio, al messaggio relativo al freno al disavanzo che nella sua essenza conduce, solo in ultima analisi secondo alcuni, automaticamente a nostro avviso, a un aumento della pressione fiscale a mezzo del grimaldello rappresentato dal moltiplicatore cantonale. Il mio gruppo non sosterrà questo strumento, ma da lungo tempo cosciente che le spese pubbliche complessive debbano essere quantomeno rallentate, ha ritenuto di riproporre il vecchio e valido progetto di legge che prevede un freno alle spese, legandole in particolare all’evoluzione del Prodotto interno lordo. Questa interdipendenza permetterebbe, non solo di raffrontare l’evoluzione delle spese con l’evoluzione economica, ma anche di mantenere costante la quota parte dello Stato. Una piccola postilla a questo proposito. Ma i Consiglieri di Stato discutono con i propri partiti? Cercano di creare delle premesse favorevoli per l’implementazione delle loro iniziative? Francamente, alla luce del tiro al piccione che si è innescato su questo tema fin dalla sua prima presentazione, parrebbe proprio di no!
Ritornando a bomba allo stretto commento di queste linee direttive e piano strategico 2012-2015, vero è che per quanto attiene, in generale, agli obiettivi finanziari fissati dal Consiglio di Stato, non si é certo cominciato con il piede giusto. Lo stesso rapporto di maggioranza sul Consuntivo 2011, sottolineava l’estrema difficoltà nel far decollare il dialogo tra Cantone e comuni, alla luce della refrattarietà degli ultimi e della intempestività dei primi.
E allora in questa ottica ci preoccupano degli auspici del Consiglio di Stato relativi alle misure di riesame dei compiti, in termini concretizzazione per la verità. L’esecutivo pone l’asticella a una bella altezza, da 104 a 171 milioni, in funzione della qualità degli obiettivi fissati, minimi o ideali. Noi ci auguriamo che le prospettive finanziarie più che funeste servano veramente da sprone per catalogare dapprima, ridefinire, accorpare e eventualmente abbandonare poi, le mansioni svolte dal nostro settore pubblico.
Dobbiamo smetterla con pseudo misure di contenimento senza capo né coda che rispondono a mere logiche contingenti, rimpiazzandole con le necessarie riforme per scardinare il dipartimentalismo e migliorare l’efficienza dell’apparato amministrativo. E allora perché non definire delle priorità di intervento e magari puntare ad esempio sulla e-governance? Perché continuare con esercizietti di piccolo cabotaggio tipici da macchinetta tagliaerba ad alzo due e via andare, dove si tagliano anche i fiori e si dimentica di estirpare la gramigna.
Certo questo genere di esercizio, sempre richiesto senza successo, necessiterebbe di una certa condivisione di visione da parte della compagine governativa, quella che in buona sostanza garantirebbe il maggioritario. Questo sistema d’elezione e di conseguenza di Governo permetterebbe di evitare estenuanti meline e infinite sterili discussioni, creando le premesse di base per il lancio di progetti coraggiosi e lungimiranti. Il mio gruppo ritiene sia davvero ora che si passi a questa formula, una scelta che permetterà così di avere finalmente una rotta chiara che ci tolga da questa impasse che ci fa navigare a vista, in un limbo senza costrutto né finalità precise. Il consociativismo rappresentato dal proporzionale, come lo conosciamo, per nostra natura latina, ha mostrato tutti i suoi limiti ed è una fucina di veti incrociati che non ci permettono di avanzare nemmeno quando l’acqua è già arrivata alla gola. E l’acqua è arrivata alla gola!
Se in questo Paese è senza dubbio difficile trovare un consenso politico, ciò che è peggio è che a latitare colpevolmente sono in particolar modo le idee e la progettualità. Idee e progettualità che non brillano certo nel documento che stiamo commentando. Il mio gruppo è convinto che si debba velocemente creare un tavolo di discussione propositiva sul futuro del Canton Ticino. Una sorta di mini Think tank, perdonatemi il termine inglese, lingua tra l’altro proprio in questo periodo ingiustamente bistrattata nella griglia oraria. Una think tank dicevo, un organismo, un gruppo di lavoro, un serbatoio di idee composto da gente valida, tendenzialmente indipendente dalle forze politiche, che si occupi di analisi delle politiche pubbliche, in grado di definire un progetto organico per il nostro Cantone e tracciare delle proposte per il suo futuro. Le competenze esistono in questo Cantone? Certo che sì, non possiamo bearci per esempio dell’Università della Svizzera italiana e della scuola universitaria professionale, senza poi mai farle assurgere a ruolo di protagoniste del destino ticinese. Servono idee fresche e non scontate. Servono buoni scarponi da montagna chiodati e una solida picozza perché la strada da compiere è particolarmente impervia e le resistenze saranno molto forti, ma nulla è semplice di questi tempi.
Serve una strategia che magari parta dalla revisione di quel documento di base che è il rapporto sugli indirizzi datato oramai dicembre 2003. Un rapporto formulato con un orizzonte di circa 20 anni, almeno in parte superato dagli eventi, che avrebbe dovuto essere attualizzato nel 2010 ma del quale non abbiamo più avuto notizia. A proposito perché non è stato presentato? A che punto è la sua stesura? La rapidità dei cambiamenti in tutti gli ambiti della nostra società, impongono, a nostro avviso, un immediato ripensamento del ruolo del nostro Cantone in ambito svizzero e internazionale, basti pensare alla minaccia che incombe sulla nostra piazza finanziaria e alle funeste prospettive di riduzione dei posti di lavoro. Rispondere a queste nuove pericolose sfide in ritardo e senza coraggio politico, sarebbe oltremodo irresponsabile. Le soluzioni che potrebbero poi offrire le task force, quando il danno è già fatto, perché vedrete creeremo eccome delle task force per affrontare le questioni che già vediamo incombere, saranno delle risposte d’emergenza e non offriranno spazi di manovra. Per questo motivo abbiamo depositato una mozione volta alla creazione di un gremio strategico che indichi il possibile e auspicabile posizionamento del nostro Cantone nei prossimi anni, sfruttando i nostri punti di forza e mitigando i nostri punti di debolezza. Dove pensiamo infatti d’andare, cosa pensiamo di costruire qui in Ticino, con sole 14 misure condivise sulle 70 proposte nel documento oggi in discussione e con 56 misure messe sotto tutela con una fila di riserve talmente estesa, soprattutto da parte del PLRT, che ne fanno presagire il prossimo ineluttabile fallimento.
Il mio gruppo non concorda con questo modus operandi, con questa politica fatta guardando solo dallo specchietto retrovisore e che non offre speranze e progetti per il futuro. Come detto in precedenza richiediamo dunque l’istituzione in tempi brevissimi di uno studio sul futuro della nostra economia e della nostra società, magari, e qui si tratta di un suggerimento, sulla scorta di quanto promosso a metà degli anni novanta dall’allora Unione di banche svizzere con il documento strategico “Progetto Ticino. Spunti di riflessione sul divenire dell’economia ticinese”.
On. Marco Chiesa
Capogruppo UDC in Gran Consiglio