Con la petizione “Diritto senza frontiere” depositata a Berna lo scorso 13 giugno, più di 135’000 cittadine e cittadini svizzeri chiedono al Consiglio federale ed al Parlamento di fare in modo che le imprese che hanno la loro sede in Svizzera debbano rispettare i diritti umani e l’ambiente dappertutto nel mondo. Per quanto benintenzionata, una tale richiesta potrebbe purtroppo cozzare contro molti dilemmi. Allo stesso tempo, è l’ottima occasione per chiedersi come il mercato disciplini le aziende.

Prima di entrare nel merito della questione, va ancora una volta apprezzata la possibilità che noi cittadini svizzeri abbiamo di incaricare la politica di occuparsi di qualcosa di ben definito. Inoltre, già la semplice riuscita della petizione scatena un processo di discussione pubblica che forza il cittadino a formarsi un’opinione, pena prima o poi una figuraccia personale in società. A lungo andare, questi meccanismi portano ad una saggezza popolare ben più pensata di quanto molti politici amino negare.

Nel mirino della petizione (www.dirittosenzafrontiere.ch) stanno esplicitamente le multinazionali svizzere. Dato che le società figlie sono legalmente indipendenti (e non tanto ricche quanto la madre che controlla tutto il gruppo), secondo i critici le multinazionali possono permettersi senza grosse punizioni di recare ingenti danni ambientali o contro la popolazione degli Stati in via di sviluppo dove operano. Tecnicamente si parla di corporate veil, ovvero del velo legale che scherma la società madre dalle responsabilità della figlia.

La petizione, che ha la saggezza di lasciar libera la politica di formulare la concreta proposta istituzionale e pertanto si limita a lanciare un chiaro segnale, vuole proibire il corporate veil in materia di crimini contro l’umanità e contro l’ambiente. Tuttavia, perché porre lo spartiacque proprio qui? E che ne facciamo di tutti gli altri crimini o danni che la società figlia potrebbe comunque continuare a causare senza che la madre ne risponda? In caso di fallimento della figlia, perché la madre non dovrebbe parimenti esser chiamata in causa ad aiutare i poveri creditori che magari han perso tutto? Tali dilemmi saranno particolarmente crucciosi in materia di danni ambientali. In realtà, prendere di mira il corporate veil significa prendersela con l’istituto della responsabilità limitata che sta alla base del capitalismo degli ultimi 150 anni. La logica proiezione sarebbe la proibizione delle SA e Sagl ed il ritorno alle società collettive o in accomandita, come era nell’Ottocento.

Fa bene la petizione a prendersela con le multinazionali? A ben vedere, già oggi queste imprese sono tra le più disciplinate del mondo a causa delle perdite colossali che il minimo danno reputazionale può causare loro. Ciò non significa che nessuna di loro sgarri, ma ben più pericolosi sono in tal senso i gruppi di medie e piccole dimensioni.

Paradossalmente poi, le aziende non possono credibilmente segnalare la loro coscienza sociale se non sono messe nella condizione di poter causare danni. In altre parole, se mondialmente le multinazionali dovessero sempre rispondere dei propri danni, non sapremmo più quali tra loro davvero si impegnino per una conduzione responsabile (dato che i danni possono esser causati da incidenti e non solo da malizia). Alla base della moralità sta sempre la libertà di fare del bene o del male, e su questo profondo aspetto filosofico la petizione sembra scivolare.

La petizione va pertanto respinta? Sembrerà strano, ma per gli stessi motivi di poco sopra, una legge svizzera nella direzione chiesta dalla petizione potrebbe promuovere la credibilità di molte aziende, purché una tale legislazione rimanga unica al mondo. Persistendo la libertà di scelta di domicilio, le ditte ben intenzionate si stabilirebbero in Svizzera, e le altre se ne andrebbero. La libera scelta di sottomettersi alla legislazione svizzera segnalerebbe credibilmente le intenzioni del gruppo multinazionale. Sicuramente, nei prossimi mesi i cittadini interessati avranno abbastanza di che discutere.

Paolo Pamini – Economista, ETHZ e Liberales Institut
Coordinatore del Consiglio degli Esperti di AreaLiberale



Pubblicato nel Cdt il 30.VI.2012