Il Dr. Avv. Tuto Rossi ha inviato in redazione domenica 12 agosto 2012 il post seguente:

Trovo gravissimo che il Prof. De Maria abbia pubblicato quest’intervista – in buona parte inventata da lui di sana pianta – malgrado il mio esplicito divieto di allora. È falso quando dice che l’intervista è stata tenuta in serbo, in realtà era stata esplicitamente vietata perchè contiene dei falsi clamorosi.
Io non ho nessun problema a dare interviste su tutto lo scibile umano (in quel tempo la diedi a TicinoLibero), ma non tollero che mi si mettano in bocca idiozie (p. es quella del capro espiatorio o quella su Pelli e Barbuscia).
Invito quindi FERMAMANTE il Prof. De Maria a togliere immediatamente questa panzana e a scusarsi con il sottoscritto. Mi riservo di prevalermi di questo scritto in sede giudiziaria.



1) Su un primo punto mi sento di dargli piena soddisfazione. Il suo post (abbastanza villano nel tono) l’ho pubblicato senza patemi d’animo e lo lascio a disposizione dei lettori.

2) L’intervista è autentica. Essa è stata realizzata il 18 ottobre 2011 a Bellinzona, nello studio dell’Avvocato, tra le 15:15 e le 16:30. L’Avvocato, che non avevo mai incontrato prima, mi ha ricevuto affabilmente. Il fatto che io fossi un giornalista e un politico inesperto non sembrava disturbarlo. Il colloquio è stato intenso e (per me) coinvolgente e appassionante. Il testo da me pubblicato è stato redatto sulla base dei miei appunti scritti (7 fogli). Per una combinazione stranissima, che ha sorpreso innanzitutto me, essi sono ancora in mio possesso. Sono qui, sulla mia scrivania. Non sono andati persi, non sono stati distrutti.

Infine, come ho già scritto, non c’è stato alcun “esplicito divieto”.

3) Trovo spiacevole, e molto ingiusto, che l’Avvocato mi accusi di falso. L’accusa è senza fondamento. Mi addolora ma non giunge a farmi perdere il sonno. Dopo tutto, nelle sue consolidate esternazioni (non nell’intervista) egli tratta molto peggio l’ex direttore generale di BancaStato Barbuscia. Mi sento quasi fortunato.

L’intervista l’ho pubblicata, giudicandola ricca di contenuto e notevolmente interessante per il portale e per i suoi affezionati lettori. Espongo qui di seguito i punti di principale interesse, accompagnandoli con qualche commento.



ALEPH. Apro la rassegna con un punto saliente di non interesse: il nuovo partito. Mi era parso subito qualcosa di inconsistente, di improvvisato. Messo lì unicamente per permettere al Dr. Avv. Rossi di “esternare” godendo di una più vasta eco. Ricordo il molto saggio rifiuto opposto da Sergio Savoia all’offerta di “aiuto” elettorale avanzata dai Verdi Liberali Democratici. Certi aiuti è meglio perderli che trovarli. Nei miei appunti, in cima al 7° e ultimo foglio, c’è un sintetico: “1000 schede”. In effetti l’Avvocato mi disse: “Se facciamo 1000 schede, le avrò portate io”. Ho tralasciato questo punto poiché non mi sembrava importante. Non ho tralasciato invece l’intimo convincimento del dr. Rossi di potere un giorno arrivare “a Berna”. Non lo giudico affatto impossibile. Non con il PS però. Forse con la Lega.

BETH. Poi c’è la vicenda (che è ben più reale) del PSA, dei “distruttori dello Stato borghese”, dei Martinelli Carobbio Biscossa e personaggi minori, e dello stesso Rossi, che in operosi decenni – sconfitti e fagocitati i miseri socialdemocratici – assurgono dalle ebbrezze rivoluzionarie di stile cubano alla gestione attenta del potere lottizzato nelle alte stanze della politica e alla difesa instancabile dei più impietriti interessi corporativi. Ma nei miei appunti Rossi torna “rivoluzionario”, uomo di rottura. Sta scritto: “lotta contro il PUT i 3 p. che litigano poi si spart. torta CASTA 2000 persone”. Significa, al di là d’ogni dubbio: lotta contro il Partito Unico Ticinese, i 3 partiti che litigano e poi si spartiscono la torta. C’è una CASTA di 2000 persone.

GHIMEL. C’è la vicenda giudiziaria e umana del dr. Rossi. Questa riveste un ruolo centrale. Dominante è l’assoluto, granitico convincimento che l’Avvocato ha della sua propria innocenza. Esso PERVADE per così dire tutto il colloquio. Io lo rispetto, non mi dichiaro “colpevolista”. Anzi, mi spingo sino ad ammettere che la sentenza penale, passata in giudicato, dei tribunali della Repubblica non abbia che un valore relativo (concetto senz’altro audace, ma io – audace – lo sono). La sentenza di Dio possiede un valore assoluto. Non la conosco. Non mi è stata comunicata.

DALETH. “KPMG perizia sulle responsabilità delle perdite/DGenerale: sistema di controllo interno/membro nessuna influenza sulle op./come tutti gli altri/consulente 30,2 milioni (10 clienti)/operazioni “normali” 13 milioni” Gli appunti sono sommari ma bisogna tener presente che la redazione del testo è avvenuta 1-2 giorni dopo, con ricordi freschi e precisi. A mio avviso le parole chiave sono: “come tutti gli altri”. L’avvocato Rossi lo ha ribadito non so quante volte, a ogni piè sospinto: lui, vicepresidente del CdA di BancaStato in quota socialista, era un cliente “come tutti gli altri”. A questo punto io farei un “esperimento mentale” (di quelli che faceva Einstein per illustrare la Relatività). Prendiamo una persona qualsiasi, un man in the street, se proprio non abbiamo fantasia il professor De Maria di Besso o il signor Bernasconi di Molino Nuovo e domandiamoci: le (eventuali) perdite di Bernasconi o De Maria sarebbero state coperte dalla banca sino all’ammontare di dieci o venti milioni? Io non rispondo certo a questa domanda. Risponda chi vuole. Ho anche chiesto a Rossi (nell’intervista pubblicata ciò non figura): “Lei personalmente quanto ha perso in questa faccenda?” Sono sempre molto diretto nel mio approccio, non amo menare il can per l’aia. Risposta: “Circa un milione”.

HE. Barbuscia. La svalutazione delle qualifiche e delle capacità professionali del direttore generale di BancaStato Donato Barbuscia tocca nel Rossi-pensiero vette di autentico parossismo. Si veda ad esempio la sua bella intervista del 15 dicembre 2011 rilasciata a Ticinolibero:

“Donato Barbuscia, e lo si è saputo molti anni dopo la mia uscita dalla banca, avrebbe avuto una formazione che, credo, si sia conclusa con una bocciatura del terzo anno della scuola cantonale di commercio, almeno così dicono ora in BancaStato; poi si sarebbe recato in Inghilterra ottenendo un diploma di inglese e si interessò un pochino di derivati, che all’epoca erano una novità assoluta. Barbuscia è sempre stato sincero e non ha mai detto di avere avuto un’esperienza bancaria in Inghilterra. Con questo bagaglio, che essenzialmente era un corso d’inglese, tornò in Ticino, divenne docente di inglese al liceo privato Sant’Anna di Lugano, e poi entrò come funzionario alla Banca del Gottardo, all’epoca in grosso sviluppo e bisognosa di personale. In Banca del Gottardo fece una carriera fulminante, e alla conclusione del suo lavoro ottenne un benservito ricco di elogi sulle sue capacità nei derivati, nella borsa, e soprattutto nel controllo dei rischi generati dalle operazioni bancarie. Con questo benservito, Donato Barbuscia ottenne un nuovo lavoro all’ex Banco di Roma, che divenne poi Banco di Lugano, ora assorbito dalla Julius Baer; fece alcuni anni di carriera, e poi uscì con un altro benservito in cui si rivantavano le sue capacità specialistiche nei derivati, nel controllo dei rischi bancari, nell’ingegneria finanziaria e quant’altro. Con questi due benserviti si presentò in BancaStato e fu creduto.”

La cosa è in sé comprensibile: dalla demolizione della figura di Barbuscia e dall’esaltazione della sua incompetenza professionale (che va di pari passo con le carenze tecnico-organizzative della banca) parte l’incerto, tortuoso e malagevole sentiero che conduce, forse, alla possibile innocenza di Tuto Rossi.
Di questo naturalmente si parlò nel corso dell’intervista, come anche di Fulvio Pelli. Ma nel testo da me pubblicato Barbuscia e Pelli vengono confinati in un’unica angusta domanda. Perché? Io stesso me lo domando. Forse perché l’intervista si stava allungando oltre misura. Certo che, se le impietose censure di Rossi non fossero (eventualmente) un’interessata esagerazione, ci sarebbe veramente da spararsi.
Riguardo a Pelli i miei appunti sono laconici. “Pelli BancaStato/lottizzata (sottolin.)/come se la Banca fosse sua”.

WAW. Barbuscia bis.

“Barbuscia ha sempre dichiarato di essere uno specialista di banca, soprattutto delle operazioni su derivati. Nei verbali processuali rivendica un paio di volte la sua grande capacità nel settore dell’ingegneria finanziaria. Vero è che Barbuscia venne messo sotto pressione dai legali della banca, tant’è vero che c’è un verbale dove ad un certo punto scagiona Tuto Rossi dalla responsabilità di avere provocato la perdita testimoniando “io non sto dicendo che è colpa dell’avvocato Tuto Rossi”. Poi c’è stata una pausa, saltò sul tavolo l’avvocato della banca, e quindi anche di Barbuscia, John Noseda, e la frase dopo è “però non sono io che devo giudicarlo”. Mi ricordo che in quel frangente, testimoni i miei due avvocati, io dissi “Barbuscia vai avanti non avere paura, John Noseda non ti sta ancora licenziando adesso”. Barbuscia venne costretto a dire “io sono un deficiente, io non sapevo che BancaStato riceveva ogni giorno dalla Banca del Gottardo la situazione precisa delle perdite in borsa, non sapevo che BancaStato aveva una linea di credito di 30 milioni verso la Gottardo, non sapevo che in BancaStato quasi tutti i consulenti patrimoniali investivano con i derivati, eccetera”, perché uno solo doveva essere il genio, il deus ex machina della Banca dello Stato, cioè il sottoscritto. Quindi le dichiarazioni di Barbuscia, scritte, ci sono, le dichiarazioni al processo… gli venne detto “fai il deficiente altrimenti salti subito”.”

Questo passo è interessante perché – al di là delle contumelie contro il malcapitato Barbuscia – in esso l’avv. Rossi dice chiaramente che altri, “quasi tutti” (i consulenti), investivano con i derivati, sottintendendo (secondo logica) che a lui solo furono addossate le colpe. Si veda anche la frase illuminante: “Uno solo doveva essere il genio, il deus ex machina ecc.”

ZAIN. A questo punto, tenuto conto anche di sue certe sue ben note dichiarazioni e di tutta l’ “impostazione” che l’avvocato Rossi dà al suo caso, risulta quanto meno sorprendente che egli insorga contro il termine (che è mio) di “capro espiatorio”. Pensavo addirittura che tale fosse il nocciolo della sua autodifesa. Durante il colloquio egli mi disse, ricordo perfettamente: “gli altri furono lasciati stare, alcuni addirittura furono risarciti”, senza far nomi. Avrò forse io tradotto questo concetto con “disparità di trattamento”? È possibile, e non mi sembra sbagliato.

HETH. In conclusione. Io l’intervista l’ho fatta, sono andato dalla Perla del Ceresio alla Capitale con la mia fedele Prius ibrida, ho preso i miei appunti e poi mi sono lealmente sforzato di presentare nella sua vera sostanza il Rossi-pensiero. Non ci sono riuscito? Lui lo afferma, io al contrario dico che è ben scritta ed esprime i concetti in modo corretto.
Infine, sono dispiaciuto per le villane e minacciose parole dell’avvocato Rossi ma non me la prendo più di quel tanto. Ho scelto di fare il giornalista per hobby e questi… sono gli incerti del mestiere!