Torniamo a occuparci dell’ignoranza, scrive Piero Biannucci sul quotidiano italiano La Stampa : “Da anni ci dicono che la nostra è la società della conoscenza… Il paradosso dell’overdose da informazioni scientifiche: dimentichiamo anche ciò che sappiamo.”

“Pioniere fu Celentano con il suo cd del 1991 Il re degli ignoranti – scrive Biannucci – dieci tracce una delle quali è intitolata “La più migliore”. Ma la sua era, come sempre, una provocazione ambigua.
… Poi l’ignoranza è diventata un genere saggistico e una fabbrica di best seller. Bollati Boringhieri ha appena pubblicato “Le cose che non sappiamo: 501 casi di comune ignoranza”, in Inghilterra strepitoso successo di William Hartston, che non è uno scienziato ma un campione di scacchi, un presentatore televisivo, psicologo e matematico dilettante, e soprattutto uomo curioso.

Esistono cose ben note, che sappiamo (pensiamo?) di sapere, e va bene. Esistono cose ignote, che sappiamo di non sapere. Ed esistono cose che non sappiamo neppure di non sapere.
In questo caso ignoriamo la nostra stessa ignoranza, siamo agli antipodi di quella che per Socrate era la vera cultura, cioè il «sapere di non sapere».
Esistono cose che siamo certi di sapere e invece sono sbagliate. La scienza procede smascherando questi errori. Ancora: esistono cose note e corrette che non sappiamo più di sapere. Oggi gli scienziati sono i primi a non riuscire più a tenere sotto controllo le troppe conoscenze.

Tempo fa un matematico si divertì a calcolare quando il volume di tutte le riviste scientifiche avrebbe superato quello della Terra. Poiché la crescita delle pubblicazioni è esponenziale, il risultato fu che sarebbe bastato meno di un secolo.
Quel matematico aveva poca fiducia nella scienza e meno ancora nella tecnologia: le memorie elettroniche hanno risolto il problema comprimendo migliaia di libri in chip grandi come una moneta.

Oggi si pubblicano 300mila periodici accademici con cadenza settimanale, mensile, bimestrale etc. In totale queste pubblicazioni superano in un anno i 3 milioni di copie e se consideriamo per ogni numero una media di dieci articoli, ciascuno dei quali annuncia risultati precedentemente sconosciuti, questo significa che le nostre conoscenze aumentano annualmente di oltre 30 milioni di informazioni, vale a dire più di sei al secondo. Troppe.

Una immagine classica rappresenta la conoscenza come un’isola in continua espansione in mezzo all’oceano dell’ignoranza. La superficie dell’isola – ciò che sappiamo – cresce, ma insieme si allunga inevitabilmente la sua linea di costa, cioè il confine con ciò che non sappiamo.
Bene: la metafora dovrebbe essere aggiornata in senso pessimistico: più l’isola si espande, più chi la governa – scienziati, intellettuali, politici – ne perde il controllo.”