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Il processo alle tre cantanti russe del gruppo punk Pussy Riot, condannate il 17 agosto a due anni di lavori forzati, mostra il ritorno all’epoca comunista : tolleranza zero nei confronti di chi “semina zizzania” e critica il regime.”

Il regime di Putin si nasconde dietro questo processo politico che forse per la prima volta offre una scena che pare uscita dritta dritta dall’epoca comunista, scrive il quotidiano polacco Respekt : “È nell’arresto e nella condanna delle giovani donne del gruppo Pussy Riot (nella foto l’8 agosto, durante il processo, ndr) che si mostra al meglio la vera natura del regime di Putin.

Con la banalità delle presunte azioni criminose, grazie all’interesse dei media, abbiamo una prova flagrante dell’arbitrio di un despota crudele e animato da spirito di vendetta, che nello specifico costituisce una nuova versione – soltanto un po’ più moderna – del regime che serviva un tempo, quando era una giovane spia dei servizi segreti.

… La farsa messa in scena dal regime in tribunale e trasmessa in diretta televisiva non significa che Putin abbia dietro di sé l’opinione pubblica.
In questo caso è evidente che si tratta di una deliberata prova di forza, che non era nemmeno destinata ai telespettatori di tutto il mondo, ma soltanto ai russi.
Dalla sua elezione, Putin si deve confrontare di continuo con un’opposizione che non ha precedenti. E ha bisogno di intimidire i suoi avversari.

… Sarà necessario convertire l’ondata di interesse e di indignazione che ha circondato il processo alle Pussy Riot in una concreta pressione politica, senza parlare del fatto che è indispensabile trattare Putin e il suo regime alla stregua di nemici giurati.”