L’accordo raggiunto in extremis dal congresso statunitense per evitare il cosiddetto “fiscal cliff“ rappresenta un’occasione per fare il punto della situazione sul cambiamento culturale in atto negli Stati Uniti. Il Budget degli U.S.A. nello scorso decennio è raddoppiato e la voce di crescita più importante è quella legata ai programmi sanitari Medicare (per gli anziani) e Medicaid (per i poveri), costi destinati ad aumentare in maniera significativa con l’introduzione della riforma sanitaria (“Obamacare”) atta ad estendere l’assicurazione malattia a tutti i cittadini.
L’accordo raggiunto prevede di aumentare le tasse per i cittadini più abbienti. Per le persone con reddito da attività lavorativa superiore a 400’000 Dollari l’aliquota massima aumenta dal 35% al 39.6% e siccome a questa aliquota si aggiungono le tasse dei vari stati in alcuni di essi questi cittadini arriveranno a pagare fino al 50%. Sempre e solo per questa fascia di reddito i dividendi azionari verranno tassati al 20% (fino ad ora era il 15%). A questo 20% si aggiunge un 3.8% per finanziare la riforma sanitaria. Le tasse di successione partono da un capitale di 5 Mio. e corrispondono al 40%. Secondo una statistica dell’OECD il sistema fiscale statunitense è quindi uno dei più sociali al mondo. Il Presidente Obama ha quindi ragione di affermare di avere mantenuto la promessa di tassare i più ricchi.
Il concetto alla base del “fiscal cliff” varato un paio di anni fa era che se entro il 31. Dicembre 2012 non si fosse trovato un accordo per aumentare le imposte e ridurre la spesa si sarebbe intervenuto con tagli lineari in vari settori. L’accordo raggiunto rimanda ogni taglio alla spesa, non tocca né i citati programmi sanitari, né tantomeno la durata dei sussidi di disoccupazione e prolunga per i redditi medi e medio alti le riduzioni di aliquota fiscale introdotte da George W Bush.
Vero che per il momento anche i Budget della difesa non vengono toccati : all’interno di questo budget si nota però un costante spostamento da spese per ricerca e produzione di nuove tecnologie a spese legate ai costi del personale ed attività produttive, come ad esempio i cantieri navali, atte a sostenere l’occupazione. Il programma spaziale statunitense ad esempio fatica a tenere il passo. Utile rammentare che molti progressi in campo medico e industriale civile derivano da ricerche originariamente legate al militare.
Nel secolo scorso gli Stati Uniti sono stati i leader mondiali incontrastati della ricerca scientifica e dello sviluppo tecnologico. Questo ruolo è a rischio alla luce delle crescenti difficoltà di finanziamento delle grandi università americane, che essendo istituzioni private dipendono in gran parte da contributi dell’industria e da donazioni e risentono quindi particolarmente gli effetti della crisi economica. Anche le meno prestigiose università statali risentono per inciso il problema della mancanza di fondi, legato in questo caso ai problemi di budget degli stati federali.
Il fascino degli Stati Uniti quale leader in campo economico e scientifico non è certo destinato ad offuscarsi da un giorno all’altro, ad esempio si assiste ancora ad una qualificata immigrazione in particolare dal Sud America, dall’India e dalla Cina e molte facoltose famiglie di questi paesi cercano di fare nascere i propri eredi nel paese in modo che essi siano cittadini americani. Di fatto però è innegabile che gli Stati Uniti paese dell’imprenditorialità privata e dell’impegno personale alla ricerca del successo si stanno tramutando in un paese che si indebita progressivamente per finanziare un sistema sociale per altro inefficiente. Un’evoluzione, o per meglio dire un’involuzione, che a chi come me ha fatto una parte di formazione e vissuto a più riprese negli Stati Uniti non può non lasciare un sentimento di velata nostalgia: come nel grande film di Sergio Leone “C’era una volta l’America”.
Guido Robotti, medico, Area Liberale