Chi non ha mai sentito questo nome? Ma non vi preoccupate, non parlerò di moda. Per me il Prada non è mai stato un marchio quanto un caposaldo di una mia passione: la cucina.

Pur non professionista sono da tempo un discreto cuoco ed ho accuratamente accumulato le ricette di famiglia. In caso di decessi di antenati, mentre gli altri eredi discutevano interessati a questo o quell’oggetto, io provvedevo sempre ad assicurare rapidamente la conoscenza, il ricordo e la tradizione, ovvero le ricette.

Nella mia libreria, in bella vista, c’è una scansia dedicata alla cucina. Trovano posto il Cucchiaio d’Argento ed altri rinomati libri subito adocchiati da tutti gli ospiti che ci si imbattono, probabilmente perché belli colorati.
Nessuno invece nota mai una pulciosa busta piena di fogli sbiaditi e manoscritti, il mio quaderno a costola rigida e due libri vecchi rilegati successivamente (segno di grande uso) con una copertina rigida in tela.

Prada
Uno è un’edizione dell’Artusi del 1904 e l’altro è il Prada. Non parlerò de “La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi che è un nome conosciuto da qualsiasi professionista del ramo e che è da tutti citato semplicemente come l’Artusi; parlerò dell’altro, che non è un bastione della cucina, ma solo il caposaldo della cucina ticinese.
In cucina io ho due difetti che incidentalmente derivano entrambi dalla cultura tramandatami da questo libro.
Perché la cucina è tradizione, cultura. Il primo difetto, se così lo si può chiamare, è che non passo le ricette di famiglia. Una mia creazione magari, ma le ricette di famiglia restano in famiglia. L’altro è che faccio tutto tranne i biscotti.
E cosa c’entra un libro con queste mie scelte? C’entra, c’entra, ed ora vedremo come. Quando vi racconterò del Prada.

Il Dev.mo Sac. Giosuè Carlo Prada era il Rettore della Chiesa Madonna delle Grazie in Bellinzona ed agli inizi degli anni venti si trovò confrontato con un annoso problema: il tetto della chiesa faceva acqua su fedeli ed arredi e necessitava di urgenti e costosi restauri.
E cosa c’entra un prete che probabilmente non vide mai una pignatta se non quando gliela portavano in tavola, con la cucina?
C’entra, c’entra. Perché don Prada ebbe la brillante idea di racimolare i soldi attraverso la vendita di un libro di ricette che fu un successo strepitoso per quei tempi, tanto che ci prese gusto e fece delle riedizioni, la seconda a favore della Chiesa di San Lorenzo in Locarno, ed ancora una terza per la sua chiesa in Bellinzona (probabilmente sognava migliorie).
Ignoro se ci furono delle edizioni ulteriori oltre alla terza di cui sono il felice possessore di una copia tramandatami.

Ma dove prese le ricette? La copertina recita: raccolte fra le signore. Un genio don Prada, ma come tutti i geni, un po’ sbadato. Un libro con un po’ di pubblicità, le ricette, perfino una lotteria, la devozione dei fedeli verso la Chiesa ed il gioco è fatto. Tutto perfetto, salvo che non interpellò prima le signore a cui contava di chiedere (trarre, mungere, spillare) le ricette, o perlomeno ne ignorò bellamente i possibili (e probabili) mugugni.
A quei tempi era d’uso che il curato venisse invitato la domenica dopo la messa a pranzo presso le famiglie della parrocchia, quindi sapeva benissimo dove e quali ricette ricercare.
Le signore bene della cittadina si sono così trovate nella scomodissima posizione di essere con le spalle al muro.
Nessuna delle interpellate avrà presumibilmente osato rifiutare questo “piccolo” segno di devozione col rischio di finire nel prossimo sermone del don, ma sono riuscite comunque a schivare molto elegantemente la patata bollente.

Hanno si, dato le ricette, ma tutte in qualche modo taroccate. Alcune in maniera talmente sottile che non ci si accorge dell’inghippo finché non si hanno entrambe le mani in pasta.
Certamente sono tutte preziosissime ricette della nostra tradizione, ma altrettanto certamente hanno tutte un quid di troppo o in meno.
Capisco mia madre, ottima cuoca, che le studiava assorta per ore cercando di correggerle, in una interminabile partita a scacchi con quelle signore ormai da tempo defunte. E capisco quando sosteneva che erano su a ridere di lei. Quanti ne hanno piccionati!
Mio padre ed io sostenemmo un giorno (molto inopportunamente) che non era mica possibile che fossero riuscite tutte ad infilarci la fregatura.
Mia madre sorniona ci mise il libro in mano dicendoci liberi di controllare. Mio padre prese una ricetta a caso, che riporto, e la lesse ad alta voce.

Gnocchi di pomi di terra
Pelati e tagliati a pezzi dei pomi di terra mettili a cuocere nel latte con aggiunta di poca acqua.
Si passano allo schiacciapatate e si mette la purée in una scodella un po’ grande.
Uniscivi, ben rimestando, due o tre cucchiai di farina bianca, un buon cucchiaio di formaggio trito, due tuorli d’uova e del sale; da ultimo un chiara alla fiocca.
Lavorate la pasta pochissimo. Si fa cadere il composto a piccoli cucchiai nell’acqua bollente salata dove si lasciano cuocere per cinque minuti.
Posti in un piatto si condiscono con burro fritto e formaggio.
Finito di leggere mio padre sollevò gli occhi ed osservò che la ricetta era completa e chiunque avrebbe potuto farla. Mia madre rispose con l’aria di chi la sapeva lunga: “Si, ma quanti pomi di terra?”
Effettivamente…
Ho capito poi che perché gli gnocchi stiano insieme è importante il tipo di patata, l’umidità e la temperatura a cui si lavora il composto, ed infine che per quelle dosi ci vogliono almeno due chili di pomi di terra, altro che “dei” pomi di terra. Le sento ancora ridere, sia mia madre che la signora che ha dato la ricetta.

Le ammiro (le signore bene), anche se sono state la causa della mia idiosincrasia per i biscotti. Avevo dodici anni, già dotato per la cucina, ed una domenica uggiosa decisi di farmi dei biscotti.
Incappai, ahimè, nel Prada. Trovata una ricetta mi cimentai senza remore anche se con una certa inesperienza.
Feci l’errore di infilare entrambe le mani nella pasta e dopo dieci minuti buoni di lavorazione con gli occhi scorsi la ricetta sul libro posato lì accanto.
Ricordo, ancora con orrore, la frase: “Otterrete così una pasta morbida e non appiccicosa.” Vigliacca, pure la beffa. Nulla a che vedere con il cemento che mi imprigionava le mani tirandosi dietro pure la scodella.
Mia madre mi soccorse ridendo e da allora io in cucina preparo di tutto, anche ciò che non mi piace, ma mai i biscotti.

Le ricette del Prada son tutte così. Penso che nel paradiso promesso a quelle signore per la loro devozione esista una cerchia delle “Signore Bene di Bellinzona ai Tempi del Don Prada” in cui si riuniscono ed ancora oggi ridono allegramente di noi.
Io sono come loro, forse meno devoto, ma se mi incastrassero come hanno fatto con loro reagirei nella stessa identica maniera. E darei le ricette (taroccate) col sorriso.
Avrei solo una curiosità: cosa avranno pensato, le signore bene, quando ciascuna di loro ha scoperto che tutte le altre, gelose delle proprie ricette, avevano fatto esattamente come lei?
Probabilmente si saranno fatte una grassa risata.

malatempora