Stati e banche centrali hanno versato, dal 2008, miliardi e miliardi per tentare di salvare le banche, in Europa e negli Stati Uniti. Di questi miliardi le aziende hanno approfittato in ben debole misura; sono andati ad alimentare soprattutto la sfera finanziaria con i prestiti agli Stati indebitati e le operazioni in Borsa.

I grandi indici di Borsa mondiali hanno chiuso il 2012 a un livello più elevato rispetto all’inizio dell’anno. Come se la crisi fosse momentaneamente stabilizzata, i finanzieri acquistano azioni pensando che possano salire, soprattutto perchè le aziende distribuiscono dividendi elevati : 40,9 miliardi, + 5% rispetto al 2011 per le aziende dell’indice borsistico CAC 40, uno dei più importanti del sistema Euronext.

Per quanto riguarda la produzione la situazione è meno scoppiettante, anche se secondo le ultime stime del Fondo monetario internazionale, pubblicate il 23 gennaio, all’orizzonte non si profilano catastrofi.
Le economie di Cina, India e dell’Asia in generale accelerano, mentre riparte l’economia brasiliana. Gli Stati Uniti rallentano e l’euro mantiene la rotta.
Se al momento l’euro sembra al riparo da una crisi maggiore, l’anno prossimo la recessione colpirà l’intera Zona euro, secondo il FMI, che prevede il forte rallentamento della crescita tedesca.

I punti fragili restano : le banche prestano al settore privato solo a tassi elevati e le incertezze permangono.
In Francia la grande banca Crédit Agricole ha annunciato che deve fare un po’ di pulizia nei suoi conti perchè ha acquistato di tutto e a qualunque prezzo, con perdite miliardarie nel 4. trimestre 2012.
Nei Paesi Bassi lo Stato deve intervenire d’urgenza (nazionalizzazione provvisoria?) per salvare il gruppo finanziario SNS Reaal, la quarta istituzione finanziaria del paese, appesantita dalle perdite della sua filiale immobiliare.
In Italia il Monte dei Paschi di Siena è nei pasticci sino al collo e non passa giorno che un qualche istituto finanziario quotato a Piazza Affari non si ritrovi nei guai.

Per quel che riguarda la popolazione, la gente continua a pagare le fatture di tutto questo caos.
Negli Stati Uniti la creazione di posti di lavoro è insufficiente e non fa diminuire la disoccupazione.
Ufficialmente, a gennaio 2013 i disoccupati erano 12,3 milioni, ai quali vanno aggiunti 2,4 milioni di disoccupati non iscritti nelle liste e 8 milioni di persone che lavorano a tempo parziale (mentre invece avrebbero bisogno di lavorare a tempo pieno).
Il tasso ufficiale di disoccupazione è del 7,9% nel gennaio 2013, contro il 9,1% del gennaio di un anno fa e per l’economista Paul Krugman il calo si spiega con l’aumento del numero dei senza lavoro troppo scoraggiati per iscriversi nelle liste dei disoccupati.

Nella Zona euro, in dicembre il tasso di disoccupazione era del 11,7%, contro il 10,7& del dicembre 2011.
Disoccupazione di massa e blocco del potere di acquisto sono prerogative delle classi popolari europee, con Grecia e Spagna al primo posto nella classifica delle situazioni disperate.

(Fonte : Npa.org)