Qualche settimana fa è apparso un articolo interessante su Ticino Finanza, a proposito di una banca della piazza finanziaria luganese che ha ottenuto la licenza ad operare nello stato centroamericano di Panama. Lo scorso ottobre, ospite di una trasmissione televisiva RSI (60 minuti), accennai a Panama come a uno dei principali rifugi di capitali in “fuga” dalla Svizzera ma venni schernito e bruscamente zittito da alcuni dei presenti. Chissà cosa avranno pensato, leggendo quell’articolo.

Non è una novità che grosse banche, fiduciarie e società di gestione patrimoniale si stiano da tempo attrezzando in grande stile in luoghi come le Bahamas, Panama e alcuni Paesi asiatici, dove i clienti, oltre ad essere meglio protetti nella loro “privacy” trovano il nuovo Eldorado o, semplicemente, la “Svizzera di 20 anni fa”. Effettivamente, l’articolo esprime a chiare lettere che, in questi Paesi, le minacce OCSE, GAFI, G20, G8 e, chi più ne ha più ne metta, non sono assolutamente prese in considerazione per ora e difficilmente lo saranno in futuro, visto che agli USA e alla Cina fanno comodo questi luoghi.

Per chi la conosce, Panama è in buona parte in mano ad ex alti funzionari americani in pensione provenienti da tutti i rami dell’amministrazione americana del presente e del passato. Insomma, un luogo di “parcheggio e villeggiatura” di alti funzionari americani che, dopo la “cacciata” di Noriega, hanno preso il sopravvento sul business del Paese.

Il punto cruciale per noi però è un altro, ossia che continuiamo a cedere a minacce e pressioni “esterne alla Svizzera” senza nulla fare, minacce provenienti da Paesi e da istituzioni come l’UE e l’OCSE che giammai le avrebbero rivolte contro gli USA o la Cina. Noi, con il classico e tipicamente svizzero “ complesso di piccolo Paese, dunque facilmente ricattabile”, abbiamo ceduto sul tema del segreto bancario e di tutto quanto ruota intorno a questo settore. Alcuni incolpano le grosse banche svizzere, e in parte pare proprio così, ma il peggio è in realtà opera della classe politica, anche in Consiglio Federale e di diversi partiti svizzeri, come la sinistra, rei di aver minato dall’interno il nostro sistema finanziario già a partire dagli anni ‘80.

Oramai il danno è stato fatto e salvare il possibile sarà un’ardua avventura per gli operatori del settore terziario e finanziario ma qualcuno, non contento della situazione in cui ci troviamo, ha deciso di iniziare a minare anche la “privacy interna”, cioè la sfera privata contemplata dalla nostra Costituzione, mirando ad eliminare anche questa nostra consolidata quanto invidiata peculiarità, secondo la quale lo Stato non ficca il naso nelle questioni private del cittadino, nello specifico nelle sue relazioni bancarie detenute in Svizzera, in assenza di presunti o conclamati illeciti penali.

Mentre Panama, Bahamas e isole simili si stanno organizzando dando sviluppo alle loro terre ed economie, noi navighiamo a vista, senza strategie e senza meta e totalmente scoordinati. Basti leggere alcuni articoli, apparsi su “Il Caffe” dello scorso 13 gennaio, che presentava alcuni spunti interessanti, come il fatto che i Cantoni svizzeri si stiano muovendo (ora quando i buoi sono scappati dalla stalla) all’offensiva per salvare i posti di lavoro nel settore finanziario, oppure che alcune banche svizzere ritengano (vana speranza) di poter essere agevolate nel credito alle imprese fuori confine (specificamente l’Italia). Ciliegina sulla torta un’intervista al Direttore di una banca a Lugano il quale, alla domanda fatta sull’imposta preventiva (presumibilmente con riferimento all’imposta liberatoria degli accordi Rubik), si espresse ipotizzando un’auspicabile misura compresa tra il 15 e il 20% !

A fronte di questi articoli, potrei solo dire; dov’erano quei Cantoni svizzeri che oggi vorrebbero salvare i posti di lavoro (Ticino compreso), quando la piazza finanziaria chiedeva di essere protetta dagli attacchi delle Istituzioni internazionali come l’OCSE, l’UE e i famosi G8, GAFI?

Care banche ticinesi, come potete pensare di andare ad operare in Italia sui crediti alle imprese, quando siamo ancora nella black list di Tremonti, oggi di Monti e magari domani di Bersani? Non sarebbe forse stato più opportuno e profittevole che ci si muovesse tutti assieme, facendo quadrato, prima di provare a ritrovare un dialogo con l’Italia? Non avrebbe dovuto esserci un massiccio fronte comune tra le banche e le categorie di settore, in generale, per difendere un’aliquota liberatoria sui capitali tra l’8% e il 12%? Da quanto letto sul Caffe, nemmeno i direttori di banca sono d’accordo tra loro.

Allora non ci resta che… fumarci un sigaro e bere un bicchiere di rum con un panama in testa in paradisi esotici, magari proprio a Panama.

Tiziano Galeazzi,
Candidato UDC Municipio e CC Lugano