Un’interessante e approfondita analisi dell’efficacia concreta dell’insegnamento della Civica nelle scuole ticinesi, “Cittadini a scuola per esserlo nella società”, pubblicata dal Dipartimento formazione e apprendimento della SUPSI nel febbraio 2012, giunge purtroppo a conclusioni alquanto sconfortanti: gli allievi sono molto ignoranti in materia di istituzioni e non troppo interessati a conoscere i “meccanismi” che regolano il funzionamento del nostro Stato democratico. Se la situazione attuale, originata dall’ultima riforma che ha creato troppe cose “sulla carta”, è manifestamente insoddisfacente, almeno la “Premessa” che accoglie il lettore, stilata dal prof. Franco Celio, è schietta e ben scritta. La proponiamo integralmente agli amici di Ticinolive.


Mario Donati, antico compagno di studi e anche di passatempi e di qualche serata goliardica in quella che un tempo era chiamata la Scuola Magistrale, mi ha chiesto di scrivere qualche nota introduttiva a questa pubblicazione, che raccoglie i dati e le valutazioni di un’articolata e approfondita ricerca sull’educazione civica e alla cittadinanza nelle nostre scuole. Si tratta di un’indagine da lui condotta insieme ai suoi colleghi Jenny Marcionetti e Pau Origoni, ricercatori in quella stessa “Magistrale” che, dopo altri cambiamenti di nome, si chiama ora “Dipartimento Formazione e Apprendimento” della Supsi. Un po’ per l’antica amicizia e un po’ perché l’argomento mi interessa a doppio titolo – come docente e quale deputato al Gran Consiglio, che dieci anni fa è stato relatore sul tema – non potevo certo dirgli di no. A dire il vero, il dover presentare una ricerca così ampia, dettagliata ed esaustiva è però compito tutt’altro che facile. Da dove cominciare?

Sinceramente dirò subito che la lettura delle informazioni qui raccolte e analizzate suscita in me due reazioni contrastanti. La prima è di ammirazione per l’ampiezza della ricerca svolta e per il successivo, certosino lavoro di esame, di elaborazione e di catalogazione dei dati cui gli autori Donati, Marcionetti e Origoni si sono dedicati. La seconda reazione è invece di netta delusione per i risultati, invero alquanto mediocri che, a dieci anni dalla loro introduzione ufficiale, l’Insegnamento della civica e l’educazione alla cittadinanza fanno registrare, e che la presente pubblicazione mette in luce con impietosa quanto necessaria chiarezza.

Sull’ampiezza, la profondità e gli altri pregi dell’analisi, non ho granché da aggiungere, se non un sentito complimento agli autori. Sono peraltro convinto che chi scorrerà queste pagine non potrà che confermare tale impressione e provare gli stessi sentimenti di ammirazione. Sulla delusione per i risultati che l’indagine mette in luce, invece, qualche precisazione è d’obbligo, non fosse altro che per non farmi accusare di esprimere giudizi avventati. Il primo motivo di delusione per chi aveva sperato che il lavoro della Commissione scolastica e il relativo Rapporto – approvato dal Gran Consiglio nell’autunno del 2001 a grande maggioranza – potesse apportare un miglioramento nell’educazione in parola, sta nel dover constatare come le indicazioni del citato Rapporto siano state largamente disattese.

In particolare, spiace dover constatare come sia rimasto praticamente lettera morta il “messaggio” principale di quel Rapporto, ossia il concetto che l’educazione civica non è compito di una specifica materia, bensì compito della scuola come tale. A farsene carico non dovrebbe dunque essere un singolo docente (nella fattispecie, quello di storia), bensì l’istituto stesso, o almeno il Consiglio di classe. Ebbene, dal rendiconto qui presentato emerge chiaramente come ciò sia ancora ben lungi dall’essere avvenuto. Che una percentuale non trascurabile di docenti (17%), dica di non avere neppure sentito parlare della riforma del 2001, e altri di averne avuto solo qualche vago sentore (v. pag. 33) è fin troppo significativo. Forse, a livello informativo, qualcosa in più avrebbe potuto essere fatto, affinché la categoria avesse, se non altro, notizia della riforma! È vero che poi buona parte di coloro che hanno risposto all’inchiesta – che sul totale degli interpellati sono però appena un quarto – dichiara di aver integrato tale insegnamento nella propria materia (v. pag. 38). Tuttavia, il fatto che circa un terzo degli allievi dica di non essersene accorto (v. pag. 43-44) solleva perlomeno qualche dubbio sull’efficacia di detto “inserimento”…

Ancor più significativo è il fatto che la maggioranza degli allievi interpellati affermi (cito) “di non condividere l’opinione secondo cui la scuola avrebbe insegnato loro ad essere cittadini impegnati” (pag. 46). L’affermazione trova peraltro conferma nelle vistose carenze conoscitive che emergono in più punti dell’inchiesta(si vedano in particolare le pag. 48 e 52-53). Certo, sappiamo tutti che gli allievi sono spesso distratti, e che ciò che vien trattato nelle lezioni finisce non di rado per “entrare da un orecchio e uscire dall’altro”. Sta però di fatto che gli argomenti sui quali gli insegnanti insistono, bene o male vengono comunque ricordati. A scorrere via come acqua sui muri sono invece quelli a cui si accenna tutt’al più “en passant”.

Vari dati forniti dal presente rapporto confermano insomma l’impressione che la scuola, nel suo complesso, non abbia preso molto sul serio il compito assegnatole in materia di insegnamento della civica e di educazione alla cittadinanza. Forse è anche questa una dimostrazione di “civica pratica”, che conferma come il legislatore possa dire quello che vuole, che tanto, poi, qualcuno provvede sempre a “disinnescare” ciò che non rientra negli schemi usuali. Forse ha ragione chi dice che di fronte a suggestioni provenienti dall’esterno, gli addetti ai lavori hanno sempre due obiezioni bell’e pronte: l’una che afferma “al fem già”, l’altra “sa po mia” (spero che le due locuzioni dialettali non richiedano traduzioni!). La delusione che dicevo, comunque, resta.

Carenti – e perciò deludenti – risultano poi le conoscenze degli allievi riguardo alle istituzioni. Le aspettative di chi aveva promosso e firmato l’iniziativa popolare “Per la reintroduzione della civica nelle nostre scuole”, cui il Legislativo aveva creduto di dar seguito approvando il Rapporto commissionale più volte citato, sono pertanto ancora ben lungi dall’essere concretizzate. Ricordo che quando era stata presentata detta iniziativa, fra i responsabili del settore si percepiva, netto, un malcelato disappunto. La richiesta appariva infatti superflua, in quanto già compresa nei programmi di storia (“al fem già”), o comunque impossibile da realizzare in quanto la griglia oraria non lo consentiva (“sa po mia”).

Non stupisce, dunque, che le indicazioni del Legislativo siano poi rimaste sulla carta, tanto che nei cinque “ambiti tematici prioritari” proposti alle direzioni scolastiche, la conoscenza e il funzionamento delle istituzioni non figurano neppure (v. pag. 22). I dati relativi alle attività effettivamente svolte nelle sedi sono un po’ meno sconsolanti, ma il fatto che delle istituzioni ci si occupi mediamente solo nel 13% di queste attività, vale a dire in un caso su otto (v. pag. 30), non consente certo di dire che all’iniziativa popolare sia stato dato seguito. In effetti, i temi riguardanti le istituzioni fanno la figura dei parenti poveri, di fronte ad altri che, con le istituzioni come tali, c’entrano… come i cavoli a merenda (penso ad es. all’informatica, ma anche a qualcuno degli altri temi elencati a pag. 31). Forse ciò non deriva solo da cattiva volontà, bensì dalla confusione fra “educazione civica” ed “educazione alla cittadinanza”; confusione che la Commissione parlamentare aveva cercato di evitare distinguendone i vari ambiti nel proprio Rapporto (ripreso a pag. 16 del presente opuscolo). Ma evidentemente anche quel messaggio non è “passato”.

Data la scarsa attenzione e l’ancora minore entusiasmo incontrati dalla riforma del 2001, si è verosimilmente diffusa l’idea che sotto il cappello di educazione alla cittadinanza possa rientrare “tout et n’importe quoi”. Con risultati francamente poco brillanti, almeno per quanto riguarda le conoscenze di base. Lo rilevano gli autori del rapporto, che nel commentare alcuni dati scaturiti dall’inchiesta, constatano come dette conoscenze risultino alquanto frammentarie (v. pag. 48 e 68), e in qualche caso parlano anzi francamente di ignoranza (v. pag. 52 e 69). E quanto scaturisce dai dati illustrati non fa purtroppo che confermare questo severo ma inevitabile giudizio. Che dire a mo’ di conclusione? In primo luogo, per quanto mi riguarda, devo fare un’autocritica.

Nel Rapporto della Commissione scolastica del Gran Consiglio sull’iniziativa popolare “Riscopriamo la civica nelle nostre scuole”, avevo peccato di eccessivo ottimismo. Mi ero cioè illuso (e con me i colleghi della Commissione) che la scuola –dopo tutti i discorsi sull’”interdisciplinarità” che si sono fatti negli scorsi decenni – fosse finalmente in grado di dare una risposta interdisciplinare ad un’esigenza – quella dell’educazione alla cittadinanza – che interdisciplinare lo è per sua natura. In altre parole, avevo sottovalutato l’effetto negativo della frammentazione dell’insegnamento in molte materie e dell’inveterata abitudine di vederle, e di viverle, come se fossero compartimenti stagni, assolutamente insuperabili. Il risultato non poteva dunque che essere quello – con poche luci e molte ombre – che scaturisce da questa indagine.

Certo, non tutto è negativo. Qualcosa è pur stato fatto – e si fa – specialmente nelle Scuole medie e nel settore medio superiore (mentre nelle scuole professionali la particolare struttura degli orari rende difficile soprattutto l’organizzazione di giornate o mezze-giornate tematiche). Molto rimane da fare, se si vuole che gli obiettivi dichiarati anche nei testi ufficiali vengano raggiunti. A questa doverosa autocritica, devo però aggiungere un’altra considerazione, stavolta improntata all’ottimismo. Dall’indagine risulta infatti che molti allievi esprimono un quasi insospettabile desiderio di essere meglio preparati in “civica”. Una maggioranza almeno relativa dei giovani interpellati vorrebbe perfino che essa torni ad essere una materia a sé, con tanto di valutazione del profitto sotto forma di nota numerica (v.pag. 45 e 70-71). Chi l’avrebbe mai detto? Non so se ciò sia realisticamente possibile. Il fatto che la richiesta provenga, per così dire, “dal basso” non può comunque che rallegrare. Ciò dimostra infatti che molti giovani capiscono che l’educazione civica non è e non deve essere qualcosa di astratto; tanto meno un insieme di nozioni teoriche. Deve essere per contro una materia viva, che consenta ai giovani di apprendere il funzionamento del nostro sistema democratico.

Forse non sarebbe male se i docenti approfittassero – in misura maggiore di quanto, dall’inchiesta, sembra avvenga finora – di temi di attualità, in particolare di votazioni e di elezioni, per sollecitare l’interesse degli allievi su questi aspetti della vita pubblica. In una realtà in cui nelle famiglie di politica si parla sempre più raramente, e in cui anche i giornali vengono letti sempre meno, chi – se non la scuola – può adempiere al fondamentale compito di formare i futuri cittadini?

Per concludere, mi si lasci citare un frammento di un testo di esattamente cento anni fa: “Non intendo che si debba fare della politica ad oltranza e infarcirne la mente dei ragazzi innanzi tempo, bensì che i giovinetti, da quando incominciano ad interessarsi della vita pubblica abbiano a venir illuminati coscienziosamente, appassionatamente sulle tendenze che si possono manifestare nel governo di un popolo. Senza educazione politica, dice il Pestalozzi, il popolo sovrano è un fanciullo che scherza col fuoco, e che rischia ad ogni momento di incendiare la casa” (da “L’Educatore della Svizzera Italiana”, dicembre 1911). Sono passati cento anni dalla pubblicazione di questo articolo, e forse duecento dalla riflessione del Pestalozzi. Credo tuttavia che entrambe mantengano inalterato il loro valore.

Franco Celio