Lettera aperta a Pierluigi Bersani

Monti di Littuno, 23 aprile 2013

Caro Pierluigi,

questa volta l’hai proprio fatta grossa! So che non mi leggi mai, ma l’amarezza opprimente che mi causano le tue marachelle (o malefatte?) mi inducono a scriverti ugualmente. Come puoi intuire dal titolo premesso a questa mia lettera, penso che tutti, chi più chi meno, abbiamo un nostro “lupo” che in qualche modo ci caratterizza. E`un’ovvietà, conosciuta dai tempi bui, entrata anche nel linguaggio di chi non sa di latino, per esempio con il “lupus in fabula”, che non si riferisce però alla favola (quella di Cappuccetto rosso), come quasi tutti credono, ma alla favella, alla capacità di parlare, perché i nostri vecchi, ignoranti e superstiziosi, credevano che se un lupo ti guardava perdevi la favella. Sempre in fatto di lupi, c’è anche una malattia, non rara e fino a pochi anni fa letale come il cancro, adesso curabile ma ancora non guaribile, che i nostri vecchi medici, anche loro ignoranti per rapporto alla modernità, hanno chiamato “lupus erithematodes”. E c’era un’altra malattia, frequente ai tempi e adesso praticamente scomparsa, che si chiamava semplicemente “lupus” ed era legata a lesioni a livello della faccia di origine tubercolare.

Ma lasciamo queste pseudodotte disquisizioni e veniamo a parlare del tuo particolare lupo, che in un certo senso è “erithematodes” anche lui, visto che ti ha portato alla morte politica: malgrado l’accanimento della Boccascini (non è un errore di stampa, viene da boccaccia) e di parecchi suoi degni compari, il tuo lupo circola ancora liberamente in Italia: si chiama, lo sai benissimo, Berlusconi.

Facciamo assieme, se mi concedi la grazia, un bilancio. Da una vita (parlo della vita politica) la sinistra italiana e tu stesso vi accanite come forsennati (termine che significa proprio fuori di senno) contro Berlusconi e la sua destra. Per voi come per loro lascio via il centro, che è ridicolaggine inconsistente da lasciare ai poveri tapini alla Fini, Casini, Bindi, Buttiglione e consimili. In politica destra e sinistra sono i termini che definiscono compiutamente e adeguatamente le due “Weltanschaungen” fondamentali che caratterizzano e condizionano l’azione politica di ogni cittadino. Vi posso ben capire, tu e la tua sinistra, e anche giustificare, con tutte le batoste elettorali che “ul Berlüsca” vi ha inflitto, quando meno ve lo  aspettavate, in special modo ai tempi di Occhetto, distrutto quando credeva di già sedere sul trono, e anche questa volta, quando affermasti (ero presente, ricordi?): “questa volta è fatta, Dio me l’ha data e guai a chi la tocca!”. Ma condurre una battaglia di anni e anni sempre con il solo, unico, esclusivo e ossessionante ritornello dell’antiberlusconismo in politica è eccessivo  e anche controproducente: due aggettivi che sommati fanno “molto pericoloso”. E`quel che è capitato a te, sordo ad ogni avvertimento, l’ultimo quello che ti avevo inviato il 6 marzo scorso, proprio da questo portale. Purtroppo non mi leggi mai, ma io, ostinato fin dalla nascita, insisto.

Quando Berlusconi, nel novembre 2011, dovette mollare l’osso, era in stato preagonico. PdL, PD e il centro dei due grandi traditori Fini e Casini, adesso degnamente ricompensati (castigati)  per la loro nefandezza, garantirono assieme il sostegno a Monti, obbligato però (fidarsi è bene, ma in Italia, lo sai, molto pericoloso) ad avanzare a suon di decreti. Ma poi Berlusconi, 12 o 13 mesi dopo, tolse l’appoggio a Monti (e fece bene, anzi benissimo, ma sempre in stato preagonico stava): ecco giunto il momento tuo e della tua sinistra. Praticamente stavi seduto sullo scanno che Monti avrebbe dovuto lasciare di lì a poche settimane. Una brillante, anzi rutilante vittoria alle primarie, una brevissima campagna elettorale sempre sulla base di un martellante (e forsennato, te l’ho già detto) antiberlusconismo e il giuoco era fatto. L’ascesa al piano nobile, l’aspirazione di tutta una carriera politica, la conquista della poltrona di presidente del governo era cosa fatta, una passeggiata in carrozza.

Venne , aspettata con impazienza ma anche con la tranquillità derivata dalla certezza del risultato, la sera del 24 febbraio 2013. Oh sorpresa, oh sventura, di doman non v’è certezza, quel bastardo d’un Berlüsca te e ve l’aveva fatta ancora una volta. Maligno e malefico come è, aveva fatto credere di essere moribondo e invece era vivo e vegeto. Non ti aveva sorpassato, eri partito da altezze siderali, inaccessibili ad un mortale come il Berlüsca, ma lui ti stava ancora alla nuca, abbastanza vicino da annullare in pratica la tua vittoria. Porcellum o non Porcellum, il risultato era quellum. E questa volta “tertium datur”: c’era stato anche il Grillo a portarti via voti che credevi acquisiti, rubati a te gridando di volerti distruggere assieme a Berlusconi. Sullo scanno agognato ci stavi però seduto ugualmente, se avessi accettato ragionevolmente, anche se a malincuore (o turandoti il naso, scegli tu), con le dovute spiegazioni ai tuoi della necessità di una curva a 180 gradi all’ultimo momento, la proposta di collaborazione fatta dalla destra, che non è solo il Berlüsca, ma anche Alfano, Brunetta e molti altri, fino a 10 milioni circa di italiani, che sono tuoi concittadini, non repellenti impestati di HIV o di sifilide o di lebbra.

Invece no: ti sei umiliato e ridicolizzato ad andare a supplicare quei due ineffabili menestrelli (a Camera e Senato) di un Grillo che non poteva darti neppure un voto pena l’autodemolizione (non puoi sostenere un partito quando hai costruito la tua vittoria sulla promessa distruzione dei partiti), hai preso di forza  le presidenze delle due Camere, dicendo ben chiaro che volevi, oltre alla tua “cadrega” anche il Colle (una vittoria elettorale risicata e Quirinale, Viminale, Montecitorio e Palazzo Madama, tutto a te: nemmeno un comunistoide come Rodotà ti bastava, volevi il “Mortadella”) e poi, visto che Grillo aveva fatto quel che non poteva non fare, hai tuonato “urbi et orbi” che quel che occorreva era un governo del cambiamento. Che ci volesse un cambiamento potevano e dovevano capirlo anche i cretini, immaginiamoci poi gli intelligenti: era compito loro, se ci tenevano veramente alla salvezza della Patria, darti il sostegno necessario per governare sicuro e tranquillo. Contavi, detto in altro modo, sui franchi tiratori: proprio quelli sui quali, alla resa dei conti, hai potuto contare, ma in casa tua.

Il 6 marzo ti avevo scritto, ma tu oltre a non  leggermi neppure mi ascolti, che stavi dettando la partitura della marcia funebre per il tuo funerale politico. L’ho ascoltata con commozione e tristezza. Una bella partitura. Complimenti, sinceri complimenti. In fin dei conti, con il tuo fare strapaesano, l’ampio sorriso ad illuminare una fronte inutilmente ampia ed il mezzo toscano mi eri anche simpatico: ti rimpiangerò e compiangerò.

Con simpatia, stima ed amicizia dal tuo

Gianfranco Soldati