Cedo oggi l’Editoriale al mio amico Gianfranco, che mi scrive sempre e ha raggiunto un grado di produttività straordinaria. Il 6 marzo – come fieramente sottolinea – egli aveva previsto la morte politica di Bersani. Io, forse un po’ superficialmente, gli avevo detto: “L’Italia avrà comunque un governo di sinistra”. Posso essermi sbagliato ma osservo che tutte le principali cariche (Napolitano, Grasso, Boldrini, Letta) sono occupate da esponenti della sinistra. In ogni caso, se devo “pagare da bere” al mio amico, ebbene lo farò. Eccovi la spiritosa missiva di Gianfranco.
Caro Francesco,
Alla seconda stesura di questa lettera pongo in prefazione quel che era inizialmente un post scriptum. Confesso, candidamente, di non aver sottoposto il testo, per averne l’autorevole giudizio, alla Signora Kandemir Pelin Bordoli, esperta in cattedra a Comano per la politica cantonale, nazionale e internazionale. E neppure, horribile dictu, ho chiesto un parere all’avvocato per antonomasia, a tempo perso anche professore, sempre per antonomasia, alla HSG (Hochschule Sankt Gallen): scrivere e non avere l’imprimatur del Pa(v)olino (una “v” surrettiziamente introdotta da “pavo”, pavone in latino) Bernasconi è come farsi iscrivere direttamente all’indice dei testi scomunicati. Scusami, e decidi tu se vuoi ugualmente rischiare l’anatema. Fatta la premessa, veniamo al dunque.
Il 6 marzo scorso ti scrivevo testualmente (puoi verificare se non mi credi) che “sento già suonare le campane a martello” per il povero Pierluigi Bersani, sepolto ieri senza quei funerali di Stato che avrebbe più che meritato per la sua opera inde fessa in difesa della Democrazia e la lotta, inde fettibile e “inde irae”, ai conflitti di interesse, lotte condotte con granitica coerenza al grido straziante e lancinante di “morte al Berlüsca”. Ti dicevo anche, il 6 marzo, che c’era una sola possibilità concreta di formare un governo, quella di accettare l’offerta di collaborazione subito fatta dal PdL, che ha come capo indiscusso proprio il Silvio.
Fatto il Governo, 3 e solo 3 operazioni da “portare in porto”: dimezzare il numero dei parlamentari e azzerare i finanziamenti pubblici ai partiti (è come richiedere ai politici l’automutilazione, ma se non riescono a farlo la prossima volta Beppe Grillo va in carrozza al 50%), cambiare la legge elettorale (se non si riesce a farlo, come presumo, ritorno al Mattarellum) e restituire l’Imu sulla prima casa, con misure di esclusione dei ricchi riconosciuti tali. Quel povero PD, completamente obnubilato dall’antiberlusconismo . ha sprecato 50 giorni per arrivare, e non con tutte le sue componenti, ad una conclusione che di più ovvie e senza alternative non c’è ne sono. Fatto questo, dicevo, subito al voto, per vedere che effetto che fa. Adesso tutti i politici si affannano nell’arduo quanto improbo compito di dar risposte ai cittadini, ai lavoratori, agli esodati, ai piccoli imprenditori, quasi che questi potessero risolvere come per incanto i loro assillanti e anche angoscianti problemi con un piatto di “risposte all’arrabbiata”.
Al problema di base nessuno di questi politici dal verbo inversamente proporzionale al nerbo, in oramai spasmodica ricerca di risposte da dare al paese, osa accennare con analitica correttezza e coraggiosa chiarezza: l’UE e soprattutto l’euro, che sono le cause prime dello sfacelo cui assistiamo. Ma UE e euro sono mucche sacre, oltre che per l’ineffabile Monti, anche per il veterocomunista appena riconfermato sul Colle, per Letta e per troppi altri che contano o credono di contare. I “cercatori di risposte” piagnucolano perché non trovano i 5 o 6 miliardi per rimborsare l’Imu 2012 per 1000 o almeno 500 euro, idem per salvare dalla morte per denutrizione i 2 o 300’000 esodati.
Nessuno ricorda loro che Mario Draghi, un altro ineffabile, nel luglio 2012 ha “regalato” alle grandi banche europee 1’020 mrd di euro al tasso dell’1% per tre anni, adducendo il pretesto di dar loro la possibilità di concedere prestiti alle PMI per far ripartire l’economia. Le banche hanno invece chiuso i cordoni della borsa ai privati ed hanno acquistato i bonds dei PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna), salvando l’euro e intascando ogni anno, fino a luglio 2015, da 60 a 80 mrd di differenziale di tasso di interesse (l’oramai celeberrimo spread). Di questi miliardi l’Italia, per quel che si sa o si crede di sapere (le manovre dei furbetti vengono sempre condotte nel segno della discrezione), ne ha incassati 230 o 240. 22 sembra siano finiti nei capaci e bucati forzieri del Monte dei Fiaschi di Siena (sinistra dura e pura), gli altri non si sa. Per esodati (senza lavoro e senza pensione) e per i piccoli imprenditori niente, salvo umiliazioni e disperazione.
Enrico Letta: decisamente, non mi piace. Un democristiano schieratosi dopo lo sfracello di “Mani pulite” con i comunisti, sotto l’ala protettrice della Rosy Bindi. Un personaggio con una larghissima bocca (meglio sarebbe dire fessura, anzi fissura) orizzontale, che non può, anatomicamente, esprimere né tristezza né gioia. Uno che 24 ore prima di ricevere l’incarico proclamava ancora il niet a Berlusconi. E uno che la stampa “ministeriale, serva e codina” (Flavio Maspoli) già sta decantando, quasi che fosse l’inventore dell’acqua calda. Quanto basta per giustificare la mia diffidenza. Meglio. mi sembra, il suo governo, con un seggio ministeriale anche per l’integrazione accelerata dei congolesi, forse perché una risposta la si doveva anche agli immigrati clandestini.
Rallegrante e rattristante (dipende dai punti di vista) il dover constatare che il povero Bersani, reso folle da una setticemia di “staphylococcus berlusconaceus”, oltre a suicidare se stesso è riuscito anche a lasciare agli eredi un PD così frantumato (Vendola, Renzi, Civati, ci manca solo Ingroia, fossi stato al posto di Letta, questo lo avrei messo alla giustizia, e “pö semm a post”) da contare all’incirca quel che contano, nell’arco parlamentare, i vari Monti e Agnello di Monteprezzemolo, sommati ai Fini-Casini e affini.
Finalmente ritorna ai suoi prediletti studi, con 5,5 milioni di reddito annuo, quell’insopportabile (per me) servitorello degli eurocrati di Bruxelles che risponde al nome di Mario Monti. Vederlo ad ogni piè sospinto mi dava la voglia di sgretolare la televisione, nel senso, naturalmente, del mio apparecchio, non delle aziende televisive.
Sto per godermi la cerimonia di incoronazione, quando “la7” con grande clamore inizia a trasmettere “in dirotta” da Palazzo Chigi (così sottotitola) immagini della spaventosa sparatoria. Si teme un morto, dei 2 carabinieri feriti uno è colpito alle gambe, l’altro più gravemente al collo, dall’immobilità a terra e dal fatto che stamane è ancora in prognosi riservata si deve temere il peggio, cioè la paralisi. Quando un rappresentante del potere ci va di mezzo, sono sempre loro, i poveri carabinieri, a lasciarci le penne, per un misero salario che appena basta per arrivare alla fine del mese.
I proiettili sparati dall’attentatore, squilibrato dapprima, poi, via via, separato, senza lavoro, giocatore patologico, indebitato fino al collo, per fortuna anche sparatore maldestro, in pieno possesso delle facoltà, sono 6, poi 7, subito dopo 8 (saranno 6 e mezzo? 7 e mezzo? Con i media italiani non puoi mai sapere, prima parlano e poi “è subito polemica”), il caricatore si svuota, non resta più niente per il suicidio. L’attentatore è ferito alla testa, ma solo per l’atterramento nella colluttazione con gli uomini del servizio di sicurezza. Comunque, per finire, il governo si riunisce e dà inizio alla prima seduta. Il lavoro non mancherà, per i risultati vedremo.
Nel complesso una esemplare commedia all’italiana, con quel pizzico di coloritura drammatica che ci vuole. Puoi pensare o fantasticare fin che vuoi, i nostri amici del Sud riescono sempre a sorprenderci. Ieri, oggi e domani. Con tanti cordiali saluti,
tuo Gianfranco