Quando è arrivato al potere 11 anni fa, Recep Tayeb Erdogan aveva fatto dell’integrazione europea la sua priorità. Ma alcune cocenti delusioni gli hanno ben presto fatto cambiare idea.

Nel 2002 Erdoğan era in campagna per le elezioni che il suo partito avrebbe vinto qualche mese dopo. All’epoca parlava della vita quotidiana, della libertà religiosa, culturale, linguistica e di espressione. L’atmosfera era popolare, piuttosto cordiale e meno nazionalista dei comizi degli altri partiti.

Prepararsi all’integrazione con l’Unione europea, diceva Erdoğan, era una fase necessaria e utile, il modo migliore per riformare il paese.
Ai suoi interlocutori stranieri spiegava che l’Akp, il nuovo Partito della giustizia e dello sviluppo si era trasformato, aveva rotto con il suo passato islamista e antieuropeo.

Oggi il discorso è completamente diverso. I punti di riferimento sono ottomani. Erdoğan si appella ad Allah per rendere eterna la fraternità, l’unione e la solidarietà arabo-musulmana e parla dell’orgoglio nazionalista a migliaia di persone.

Il primo ministro turco non ha invece detto una parola sulle rivendicazioni (contro gli eccessi autoritari del governo, contro un capitalismo sfrenato, per la libertà di espressione e di stile di vita) delle decine di migliaia di ragazzi che sono in piazza dal 31 maggio.

Sebbene aperto alle esigenze democratiche, Erdoğan accusa l’Unione europea di ipocrisia e di fare ricorso a una politica di due pesi, due misure. Si lamenta della mancanza di progressi nei negoziati di adesione della Turchia all’Unione europea, di una situazione tragicomica e a chi critica lo critica ricorda che la Turchia non prende lezioni di democrazia da “alcuni paesi europei”.
L’impressione è che il primo ministro turco abbia abbandonato qualunque speranza di integrazione europea per il suo paese.

(…) Nei confronti dell’Unione europea Erdoğan si trova in una situazione quasi schizofrenica. Da un lato si sta rendendo conto che il sogno ottomano ha poco appeal presso i vicini arabi e che l’influenza della diplomazia turca nella regione deriva in gran parte dal solido sostegno occidentale al suo paese. Dall’altro, per lui è ormai quasi impossibile riconoscere davanti alla sua opinione pubblica che l’integrazione europea rimane comunque – sia economicamente che diplomaticamente – la migliore opzione per la Turchia.

(Fonte : Slate.fr)