Il 1. luglio la Croazia entra in un’Unione europea sempre meno desiderosa frontiere più ampie. L’adesione della Bulgaria e della Romania nel 2007 ha lasciato un gusto amaro agli altri Stati, ma l’UE rimane per i Balcani occidentali una terra promessa.

I paesi della regione balcanica avanzano in ordine sparso.
La Serbia, candidata dal marzo 2012, dovrebbe ottenere una data per l’avvio dei negoziati.
Il Kosovo, indipendente dal 2008, spera iniziare le discussioni in vista di un accordo di stabilità e associazione.
La Macedonia resta bloccata a causa del conflitto che l’oppone alla Grecia sul suo nome.
In Albania lo statuto di candidato è condizionato dalla buona tenuta della fase post-elettorale, dopo le legislative del 23 giugno.
Il Montenegro ha iniziato i negoziati di adesione nel giugno 2012.
La Bosnia si trova a un punto morto.

Nel desiderio di adesione dei Balcani non c’è euforia. Devastata dai conflitti degli anni 1990, la regione non vuole trovarsi alla periferia degli scambi commerciali. Si tratta di uscire da un contesto regionale senza farsi illusioni sulla severità delle riforme richieste da Bruxelles.

Gli Stati balcanici hanno fatto immensi sforzi per ripulire le loro amministrazioni dalla politica, per renderle moderne, per aprire l’economia, rendere la giustizia efficace e indipendente.
Quali sono dunque gli argomenti contro la loro entrata nell’UE? Il peso demografico? La popolazione della regione è di circa 15 milioni. Niente a che vedere con la Turchia (cinque volte di più), che spaventa la maggior parte dei dirigenti europei.
Una paralisi accresciuta delle istituzioni, quando i Balcani siederanno a Bruxelles? I movimenti migratori non verranno determinati dall’adesione, ma dallo sviluppo economico. Soprattutto che l’annullamento dei visti verso lo Spazio Schengen è già acquisita : dal dicembre 2009 per Macedonia, Montenegro e Serbia, dal novembre 2010 per Albania e Bosnia Erzegovina. Rimane il Kosovo.

Questa libertà di movimento è l’acquisizione più evidente del processo d’integrazione. Per il resto, questi popoli dovranno prendere in mano il loro destino. Deresponsabilizzare le loro élite sarebbe contro-producente, ma non incoraggiarli sarebbe un errore.
Se l’UE non vuole un risorgere del nazionalismo albanese fuori dalle frontiere del paese, né un irrigidimento politico in Serbia o un’esplosione sociale in Bosnia, dovrà vegliare su questa gente con un misto di esigenza, rispetto e generosità, perchè il progetto europeo non deve essere una semplice zona di libero scambio, ma deve essere una vera riunione europea.

(Le Monde.fr)