Eppure… “Anche la sinistra può amare l’esercito, appassionatamente”
“Al congresso di Losanna, due terzi dei delegati PS erano per l’abolizione dell’esercito tout court”
“Al giorno d’oggi nella professione essere ufficiale può costituire un handicap”

Continua il dibattito – per il momento a distanza – sull’iniziativa per l’abolizione dell’ obbligo di servire, in votazione il prossimo 22 settembre. Oggi è di scena la sinistra, rappresentata dal socialista Sergio Roic, giornalista e scrittore. L’intervistatore Francesco De Maria cerca a più riprese di metterlo in difficoltà ma Roic si destreggia abilmente, rispondendo da par suo, con arguzia e astuzia. Alla fine però, pur dalle eleganti schermaglie, l’essenziale emerge chiaramente: la Sinistra è contro l’Esercito… e non vede l’ora che sparisca dalla circolazione!



Francesco De Maria   Per un paese come la Svizzera l’esercito di milizia è inutile? O addirittura l’esercito tout court è inutile?

Sergio Roic   Bisogna premettere che l’esercito di milizia “ha fatto” la Svizzera, nel senso che si può senz’altro affermare che questo tipo di esercito “è” in qualche modo la Svizzera, oppure detto ancora meglio, esso rappresenta compiutamente una buona parte della storia svizzera. Ma appunto, come sempre accade quando parliamo di storia, anche il nostro esercito di milizia è un portato storico, ovvero è legato a una precisa, seppur lunga, epoca storica della Svizzera.

Per rispondere alla sua seconda domanda che riguarda l’”inutilità” dell’esercito, non ho problemi a dire che esso sarebbe certamente inutile nel migliore dei mondi possibili, ma visto che non ci siamo ancora arrivati…

La guerra mondiale non è in atto… ma il mondo non è affatto in pace. C’è una violenza spaventosa, benché localizzata in determinate aree. La Svizzera non dovrebbe tenersi stretto il suo esercito di milizia per fronteggiare le minacce?

SR   Già, ma quali minacce? Per la Svizzera sono più gravi le minacce prodotte dall’instabilità del mercato finanziario, a cui fra l’altro partecipano attivamente parecchie sue componenti, che una (im)possibile minaccia di guerra. Per quel che riguarda il terrorismo o le catastrofi naturali, una ridotta forza militare può senz’altro essere utile. In realtà, oggi come oggi, le guerre tradizionali fatte di scontri di carri armati o di caccia nei cieli non hanno più luogo. Devono, invece, avere luogo azioni puntuali “di polizia” per arginare tutte quelle nuove forme di violenza scaturite dalla riorganizzazione globalizzante del mondo. È chiaro che, in certe zone della terra, vi sono ancora scontri armati di una certa entità, ma questo non è certamente il caso della Svizzera, piuttosto, questi scontri armati accadono laddove la sovranità nazionale non è mai stata abbastanza solida o è andata in pezzi, come ad esempio nel caso del recente conflitto intra-jugoslavo.

Lei è un uomo di sinistra tutto d’un pezzo. Quali colpe accolla (ammesso che ne abbia) all’Esercito svizzero?

SR   Non è che l’esercito svizzero vada colpevolizzato. E poi, perché? Riunire sotto uno stesso sistema di servizio tutti i cittadini svizzeri di una certa età non è, anche psicologicamente, la peggiore delle operazioni. In un certo senso, il servizio militare, specie quello di milizia, è un esercizio eminentemente democratico, nel senso che coinvolge tutti quanti e ognuno allo stesso modo. È, tuttavia, vero che anche un’îstituzione che ha “fatto” la Svizzera, come il suo esercito di milizia, può essere ridisegnata, modernizzata e adattata ai tempi.

Mi aiuti a ricordare. Quante volte la sinistra si è mossa contro l’Esercito, provocando una votazione popolare? Quali percentuali ha saputo ottenere la sinistra?

SR   La sinistra, in questo ambito, non ha ottenuto, per usare una terminologia militare, delle capitolazioni. Però ha posto alla popolazione, e ripetutamente, una serie di questioni sensibili sul nostro esercito favorendo, in qualche modo, la sua riorganizzazione. Una riorganizzazione che si è poi sviluppata “in meglio”, su questo non credo che ci possano essere soverchi dubbi. Per quel che riguarda le votazioni popolari da vincere o da perdere, molti, fino a poco tempo fa, avrebbero giurato che l’atomo svizzero fosse inattaccabile, e invece…

Lei conosce il Gruppo per una Svizzera senza Esercito? Come potrebbe descriverne l’ambiente? Che legami ha il Gruppo con partiti politici ideologicamente affini?

SR   Il Gruppo per una Svizzera senza Esercito si batte per degli ideali pacifisti, più che giustificati in un’epoca, la nostra, in cui le relazioni pacifiche fra i quattro angoli della terra si sono intensificate a dismisura per una sorta di “contiguità globale” permessa dai moderni mezzi di comunicazione e dal sempre maggiore sapere accumulato su cultura, usi e costumi di tutti e di ognuno. Oggi ci si conosce a livello globale. Perché, allora, le avanguardie pacifiste non potrebbero sognare il disarmo ponendo come orizzonte la demilitarizzazione? È un po’ il discorso del superamento del capitalismo, discorso tutt’ora presente nelle “carte” del PSS. I socialisti dicono: si è all’interno del sistema capitalistico, ma questo sistema può essere senz’altro migliorato senza necessariamente abbatterlo rinnegando in toto il valore dell’intraprendere e dello scambiare prodotti e conoscenze. Lo stesso vale per l’esercito: non si rinuncia in toto e unilateralmente all’esercito, lo si adatta, naturalmente se la volontà popolare finisce per accettare questo tipo di proposte, ai tempi e ai bisogni e, in qualche modo, se ne “ingentilisce” anche la missione che, mi sembra, non è più quella di combattere un “nemico” definito militarmente, ma diventa quella di contenere dei fattori destabilizzanti, sia umani che naturali.

Per rispondere alla seconda parte della sua domanda, è abbastanza chiaro che sono innanzitutto le forze della sinistra, e fra di esse una buona parte del PSS, almeno per quel che si può dedurre dagli ultimi congressi nazionali, a sostenere un ammodernamento e un adattamento ai tempi in cui viviamo del nostro esercito.

Ci sono – che Lei sappia – personalità chiaramente connotate a sinistra contrarie all’iniziativa? (Guardi che non Le sto chiedendo il loro numero di cellulare…)

SR   Guardi, in occasione del recente anche se non recentissimo Congresso del PSS svoltosi a Losanna, due buoni terzi dei delegati presenti erano addirittura per l’abolizione dell’esercito, come processo a cui tendere, naturalmente, e non come azione istantanea da intraprendere. Le sensibilità all’interno del PSS al proposito sono molteplici e graduate, come è naturale che sia.

L’Esercito è per sua stessa natura qualcosa di reazionario? L’Esercito lo può amare solo la destra?

SR   Ma no, ovviamente. Gli eserciti di liberazione nazionale sono stati delle vere e proprie fucine di democrazia, in quanto hanno rappresentato la lotta concreta e condivisa alla tirannia. Queste lotte non sono soltanto portati ottocenteschi, ma si sono svolte, e con quale furore, durante la seconda guerra mondiale e nei processi di decolonizzazione. Mio padre partecipò come capitano e commissario politico alla guerra partigiana nella Jugoslavia degli anni ’40 del secolo scorso. Poi rinnegò il comunismo dopo essere stato “epurato” e privato di grado in quanto “intellettuale”. La storia è complessa e ci offre, spesso e volentieri, delle sorprese. Le faccio un esempio: nella Jugoslavia prima della dissoluzione, quando era ormai chiaro a tutti che il paese era andato in crisi, molti sostennero che la JNA, l’armata federale, sarebbe comunque riuscita a mantenere unito il paese difendendo democraticamente il popolo dalle forze centrifughe. Questa speranza, condivisa anche da molti intellettuali di sinistra che “credevano nell’esercito”, si è poi rivelata un’illusione…

Quindi, la mia risposta è: no, anche la sinistra è in grado di amare l’esercito, e appassionatamente.

Lei pensa che nella Svizzera attuale il fatto di essere ufficiale possa costituire un vantaggio in campo professionale?

SR   Nel recente passato senz’altro, come una sorta di “prova di responsabilità e di stabilità” personale. Oggi non è più così. Anzi, per coloro che ambiscono al ruolo di “player” in un contesto lavorativo globale, essere ufficiali può rivelarsi persino un handicap.

L’iniziativa sembra che “punti” verso un esercito di professionisti. Ma forse… gli iniziativisti non vorrebbero, per la Svizzera, alcun esercito. Può essere?

SR   Diamo importanza alle parole: si parla di un esercito più professionalizzato. Come ho avuto già modo di dire, il “senza esercito” riguarda il migliore dei mondi possibili…

Secondo me un esercito di mestiere sarebbe troppo grande in caso di pace (non avrebbe abbastanza da fare…) ma troppo piccolo in caso di guerra. Dico bene?

SR  Non ci sarà nessuna guerra in Svizzera nei prossimi decenni, il nostro è un paese prospero, stabile e responsabile che, anche in una situazione globale delicata, riesce, pur tra spinte e controspinte, a cavarsela egregiamente, checché ne dicano i nazionalisti accesi, sempre pronti a prefigurare scenari apocalittici. È molto più interessante, quindi, uno scenario “di pace”, senz’altro altamente realistico. In uno scenario di pace il professionalizzato esercito svizzero è funzionale a: evitare crisi localizzate, contenere catastrofi naturali, combattere con forte deterrenza eventuali fenomeni terroristici, appoggiare in casi estremi le forze di polizia e, può sembrare una boutade ma non lo è affatto, dare fiducia e quindi protezione sia psicologica sia concreta alla popolazione in quanto incarnazione di una sorta di “super forza” di intervento.

Questi “mestieranti” soldati, anche nell’ipotesi che si possano reperire in numero sufficiente, non rischiano di essere le persone “sbagliate”?

SR   In Svizzera? Direi proprio di no. Un esercito maggiormente professionalizzato significa maggiori possibilità di fare carriera professionalmente nell’esercito. I veri professionisti, se ci badate, sono fra le persone più responsabili e preparate nei mestieri più disparati.

Noi tutti conosciamo la famosa “tattica del salame”.  Nel caso che ci riguarda: indebolire progressivamente l’Esercito… sino a farlo sparire. Questa del 22 settembre potrebbe essere una bella fettona sostanziosa…

SR   Beh, è pur vero che, come ho già affermato in precedenza, c’è chi vede bene l’abolizione dell’esercito. Si tratta, però, di un processo, prima di tutto molto lungo, e in secondo luogo adattabile a seconda dei tempi in cui viviamo. In realtà, la richiesta di maggiore professionalizzazione del nostro esercito è figlia dei nostri tempi: le sfide alla stabilità di un paese non sono più un’accozzaglia di carri armati o missili posti nelle vicinanze dei confini, ma fenomeni decisamente più localizzati e che si avvicinano di più al concetto di catastrofe, sia terroristica che naturale.

In questi giorni sto studiando parecchio. E, studiando, sono cascato sul programma del partito socialista svizzero 2010/2012, pag. 44: “Il PS propugna l’eliminazione dell’esercito. Fino al raggiungimento di tale obiettivo, l’esercito svizzero deve essere ridotto e ristrutturato in maniera consistente. Finché esiste un esercito, il PS esige l’eliminazione del servizio militare obbligatorio.” Allora avevo intuito giusto!

SR   Non bisogna nascondersi dietro un dito: la sinistra, e il PSS in particolare, propugna un ridisegno deciso della funzione “esercito”, alcuni vedono bene un orizzonte di abolizione dello stesso. Facendo una forzatura, si potrebbe dire che il modello in qualche modo sotteso a questo tipo di ragionamento potrebbe essere il seguente (trattasi di un modello platonico): i produttori producono per tutti e ognuno, i guardiani difendono tutti e ognuno in caso di pericolo, mentre i filosofi (nel nostro caso, i “riformatori” saggi che naturalmente sanno pure distinguere i vari tipi di “pericolo”) danno un indirizzo a tutte queste azioni e componenti. Platone, però, era un aristocratico e il suo modello non è, ovviamente, del tutto democratico… In definitiva, e al di là di tutte le parabole platoniche, la posizione della sinistra sull’esercito si può riassumere così: oggi la sinistra svizzera crede che un esercito più agile e più professionalizzato risponda meglio alle esigenze in tempo di crisi di una società come la nostra; sul lungo periodo, la sinistra ritiene che, con lo sviluppo di relazioni di carattere partecipativo e di una logica di condivisione piuttosto che di quella del fronteggiarsi reciproco, si potrà arrivare a delle forme di protezione della e nella società che potranno andare al di là del concetto attuale di esercito.  Queste forme potranno variare dall’interposizione in caso di conflitto, del tipo peace keeping, fino a ipotizzare forme di solidarietà organizzata a livello statale e forme di pronto intervento altamente specializzate.

Ho letto tempo fa una frase che mi ha colpito, questa: “Un paese ha sempre un esercito sul suo territorio. Il suo… o un esercito straniero!” Chi l’avrà detto? Non ricordo.

SR   La frase è arguta. Tuttavia, guardiamoci attorno: quali sono le vere forze in gioco oggi, individuabili come possibili “forze d’occupazione” ? L’esercito italiano, tedesco, francese? No. L’esercito russo? Men che meno. Oppure Coca-Cola, Microsoft, Google, Airbus, ecc. ecc.? – e qui, a scanso d’equivoci, parlo “nel bene e nel male”, nel senso che si tratta pure di fattori di sviluppo.