Il rifiuto dell’Europa di disfarsi delle sue istituzioni fallimentari sta paralizzando la ripresa. Il continente dovrebbe piuttosto seguire l’esempio statunitense incarnato dalla recente dichiarazione di bancarotta di Detroit e dare alle sue cause perse la possibilità di fallire.

La bancarotta di Detroit giunge a pochi anni di distanza da quella della General Motors, la leggendaria fabbrica di automobili. Entrambi i crolli cristallizzano decenni passati ad accumulare fallimenti, non ultimo quello di non aver guardato prima in faccia la realtà.

Simboleggiano inoltre il grande vantaggio degli Stati Uniti sull’Europa: la loro maggiore disponibilità a disfarsi delle cause perse affinché attività con maggiori prospettive di successo abbiano lo spazio per prosperare.
La capacità di lasciar morire imprese ormai spacciate è un segno di forza, non di debolezza. Se l’Europa – soprattutto l’eurozona – vuole uscire dalla crisi, dovrebbe adottare lo stile americano.

È naturale rimanere scossi quando a cadere sono dei giganti. I debiti della General Motors ammontavano a 172 miliardi di dollari (130 miliardi di euro). La città che la ospitava deve far fronte a un debito che potrebbe aggirarsi attorno ai 20 miliardi di dollari, secondo l’amministratore straordinario di Detroit Kevyn Orr.
Molti di questi soldi rappresentano perdite ai danni di persone sicure che i loro crediti sarebbero stati onorati. È una situazione chiaramente ingiusta e nessuno può biasimare i creditori se faranno tutto il possibile per costringere altri a risarcirli, come dimostrano le richieste presentate dai sindacati di Detroit al governo federale.

In generale, tuttavia, gli Stati Uniti sono pronti ad agire senza stare a pensare troppo alle conseguenze; sicuramente lo sono più dell’Europa. Negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno indirizzato banche (Lehman Brothers e molte altre più piccole), altre aziende essenziali all’economia (l’industria automobilistica) e molti governi locali al più vicino tribunale per la bancarotta.
Negli Stati Uniti, correre un rischio e fallire non è la fine del mondo: c’è onore nella capacità di riprendersi. La bancarotta offre una nuova opportunità e nella cultura americana si è incoraggiati a continuare a lottare. Il dinamismo economico statunitense deve molto a questo atteggiamento indulgente nei confronti di chi corre rischi.

Gli europei considerano l’insolvenza una macchia morale molto più scura. Tradizionalmente fare bancarotta ha significato essere etichettati come inaffidabili – una vergogna da nascondere lasciando per sempre il mondo degli affari e persino (di tanto in tanto) togliendosi la vita.
Per l’Europa l’idea del fallimento è talmente intollerabile che nella crisi attuale ha preferito coprire i debiti dei paesi in bancarotta. E ne soffre le conseguenze.

Questo è emerso con chiarezza nel caso della Grecia. Gli stati creditori hanno insistito nel ritenere inaccettabile un piano di salvataggio. Il pensiero che uno stato sovrano europeo potesse non pagare i suoi debiti, però, si è dimostrato ancora più inaccettabile.
Perciò sono stati spesi soldi presi in prestito dai paesi dell’eurozona – e da un Fondo monetario internazionale costretto a partecipare al salvataggio – per posticipare il regolamento di conti.

Lo stesso è successo con le banche. Nel 2010 il governo irlandese ha fatto di tutto per risanare i buchi nei bilanci annuali delle sue banche con i soldi dei contribuenti piuttosto che dichiararle insolventi, proteggere i correntisti e lasciare che i creditori raccogliessero i pezzi.
Quando Dublino ha capito che i fondi pubblici non bastavano, i suoi partner dell’eurozona l’hanno costretta a contrarre nuovi prestiti da loro per completare il salvataggio. L’avversione alla bancarotta ha sfigurato le politiche verso le banche anche in Spagna e altrove.

La realtà ha costretto gli europei a cambiare idea, come sempre accade alla fine. Il debito sovrano della Grecia alla fine è stato ristrutturato – non prima però che i benefici della ristrutturazione andassero perduti e non senza la pretesa che si sia trattato di una decisione volontaria per gli obbligazionisti.
A Cipro, sebbene le cifre in gioco fossero molto inferiori, la prospettiva di salvare i correntisti russi era intollerabile per l’Europa del nord.

Persino queste lezioni si stanno sedimentando lentamente. Nel 2010 gli Stati Uniti si sono dati la possibilità di scaricare le grandi banche e di addossare le perdite ai loro creditori.
Molti governi dell’Unione europea non hanno nemmeno iniziato a pensare di approvare simili leggi di fondamentale importanza.
Ci vorranno ancora anni prima che Bruxelles li costringa a farlo, nonostante un accordo in linea di principio sulla necessità di una riqualificazione del debito.

(Presseurop.eu)