Il nostro corrispondente dal festival Desio Rivera commenta per noi questo film oggi al centro dell’attenzione generale.
Questa sera in Piazza Grande con inizio alle 21.30
Seguire la vita di Blocher dalla sua nascita ad oggi è ritrovare parte della nostra storia recente. A volte, per chi, come me, non segue attivamente la politica, risulta piacevolmente didattico. Non è senz’altro un’apologia del partito di destra UDC, anzi! In modo onesto e imparziale il regista dà le diverse angolazioni di lettura delle decisioni politiche con visioni che spaziano dalla sinistra alla destra, passando per il centro.Le politiche verso gli stranieri che, allora scandalizzavano, col tempo si sono inserite nel pensiero comune, e ora le viviamo, inserite nei programmi di molti altri partiti.
Rivedere ora i primi passi importanti in politica di Christoph Blocher, legati indissolubilmente alla sua presa di posizione anti unione europea e relativo Euro, nel 1992 in contrapposizione a tutte le altre correnti di pensiero, dei partiti al Governo, visti gli avvenimenti recenti di crisi economica, non può far altro di pensare che, in fondo, in fondo, è un “salvatore”, senz’altro il visionario perfetto.
Il regista che, senz’altro, per sua ammissione, è agli antipodi dalle idee politiche di Blocher, dona, quasi da subito una chiara impressione di simpatia per questo personaggio istrionico (Blocher lo si vede cantare ai comizi un testo molto probabilmente inventato da lui stesso, sulla sua situazione politica e di uomo e canta anche, insieme ad un coro, nel corso di una cena nel suo castello).
E la possibilità dell’anima dell’UDC di giocare con i verbi è ben rappresentata dalle parole, nel momento in cui si reca verso il Parlamento a Berna. E’ dopo essere stato escluso dal Governo e il regista gli chiede se si sente triste. No, sorride. E poi parte con l’immaginazione e prevede le domande dei giornalisti, dandone già le risposte, un po’ sarcasticamente. E, subito dopo, é inquadrato con i giornalisti che, appunto, gli fanno le domande che lui aveva previsto. D’altra parte però, c’è una contraddizione che esce dalle parole di Blocher: lui che afferma che il suo partito parla alla gente in modo diretto e chiaro, confessa di avere molti segreti che non può comunicare. E rimarranno segreti anche dopo il documentario, la sua personale zona d’ombra.
E il finale con l’angolo preferito, dove si sente al sicuro: la panchina di sasso nel cimitero vicino alla casa natale. Contrariamente alle voci circolate Blocher non ha influenzato il montaggio del film. Insomma il documentario non dà la parola a Blocher ma la dà all’esperienza del regista seguendo Blocher.
Lui è stato soggetto di osservazione, non ha interagito. Come dice il regista: “Sondare Blocher fino all’osso, disegnarlo poco a poco, tratto dopo tratto, con la voglia di toccare una parte di noi stessi, del nostro inconscio collettivo, quando dappertutto, su questa Europa in crisi, si alzano i venti del nazionalismo”.