“Non voglio ucciderti”. Rylee Miller si fa degli scrupuli. Ha 12 anni. Di fronte a lei c’è la sua migliore amica, Julianna Pettey, anche 12 anni. Lei però si fa meno problemi : “Ti ucciderò io. Forse con una pugnalata.”

Benvenuti nel campo estivo a tema “Hunger Games”, appena inaugurato in Florida.
Navigando sulla popolarità della trilogia letteraria Hunger Games, che dopo aver venduto milioni di copie è diventata un adattamento cinematografico, una scuola di Largo ha avuto l’idea di proporre una colonia di vacanze sul tema della saga di Suzanne Collins. I suoi libri ritraggono una società fittizia dove adolescenti dai 12 ai 18 anni si uccidono a vicenda fino a quando ne rimane in vita solo uno, che diventa eroe nazionale.

Nel passaggio dalla finzione alla realtà alcuni perdono l’orientamento, come racconta una giornalista del Tempa Bay Times, che ha realizzato un reportage sul campo estivo e che cita i dialoghi fra i 26 ragazzini che partecipano all’avventura.

“Cosa iniziano a fare? Iniziamo ad ammazzarci? – chiede Sidney, 14 anni.
“No, questa settimana niente violenza – risponde una monitrice.
Una frase che la donna dovrà martellare per tutta la giornata, sopraffatta dall’entusiasmo dei ragazzini, ossessionati dall’idea di scannarsi a vicenda. Per la violenza c’è tempo. Alla fine della prima settimana di allenamento, i partecipanti potranno finalmente giocare a uccidersi, simbolicamente, nel torneo finale.

Davanti all’evidente mancanza di distacco dei ragazzini per la violenza che arriverà, gli organizzatori “sconcertati” hanno deciso di portare al gioco qualche modifica dell’ultimo minuto.
Per eliminarsi a vicenda, i partecipanti dovranno strappare le bandiere nere annodate ai fianchi e l’espressione “prendere una vita” sostituirà il verbo “uccidere”.
Precauzioni inutili : “Se devo morire voglio essere ucciso da una freccia – dice il piccolo Joey a tutti quelli che lo vogliono ascoltare – Non uccidetemi con una spada, piuttosto sparatemi.”
Vicino a lui, Frances, 10 anni, si applica nello scrivere il cartellone del torneo finale “LOSING MEANS CERTAIN DEATH” (“Perdere significa una morte certa”).

Di fronte alle inevitabili polemiche apparse sui media, il direttore del Hunger Games Camp, Ted Gillette, ha difeso il suo concetto di colonia estiva, che “fa riferimento a opere letterarie, ne spurga la violenza per insegnare ai bambini il lavoro di squadra e la stima di sé, fra le altre cose”.
Gillette ricorda le molteplici attività proposte dal campo estivo (teatro, arte, gare accademiche e sportive all’aria aperta). I bambini, sottolinea, imparano a lavorare la terra e a costruire un arco, ma scagliano frecce su dei bersagli, non sui loro amichetti.

“I bambini possono fingere la morte nel corso di un qualsiasi gioco – spiega al Tampa Bay Times lo psicoterapeuta Simon Bosès – Quando dicono “ti uccido” non capiscono cosa stanno dicendo. Alla loro età la morte non è qualcosa di definitivo, è un ritorno al punto di partenza.”
Susan Toler, psicoanalista dei bambini, ritiene invece che “quando i bambini leggono dei libri o guardano dei film, sono semplici spettatori di fronte alla morte. Ma quando iniziano ad appropriarsi del ruolo e a interpretarlo completamente, la morte diventa più vicina e la violenza più dannosa.”

(Le Monde.fr)