Il 22 settembre si avvicina e sulle pagine Ticinolive continua il dibattito sull’iniziativa del Gruppo per una Svizzera senza Esercito, che vorrebbe abolire l’obbligo di leva. Oggi è di scena l’on. Nenad Stojanovic, socialista e abolizionista. Gli farà seguito il col. Mattia Annovazzi, coordinatore del comitato contrario all’iniziativa, che ha cortesemente accettato il nostro invito.

Un’intervista del prof. Francesco De Maria.


Francesco De Maria   Lei ha fatto il militare? Se sì, come ha vissuto questa esperienza?

Nenad Stojanovic   No, ho prestato e sto prestando servizio alla protezione civile.

Quali sono i punti deboli dell’esercito di milizia secondo il modello tradizionale svizzero che, pur sottoposto a vari correttivi e riduzioni, è in vigore ancor oggi?

NS   L’esercito di milizia riflette una logica da guerra fredda ed è totalmente fuori posto nell’Europa di oggi.

La propaganda dei sostenitori vede l’esercito come un importante fattore di coesione nazionale. La sinistra contesta questo punto di vista?

NS   La coesione nazionale è un argomento che mi sta a cuore ed è effettivamente l’unico che parla a favore di un esercito di milizia. Trovo però che si esageri la sua portata: la maggior parte delle reclute ticinesi, per esempio, rimane sempre nel proprio gruppo e si mischia poco con gli svizzeri delle altre lingue. Non dimentichiamo poi che oltre la metà della popolazione – penso alla maggior parte delle donne o anche a quel 48% degli uomini che per vari motivi non prestano servizio militare – è già oggi esclusa da questa presunta promozione della coesione nazionale. Infine, con quello che si risparmierebbe passando a un esercito di volontari – e parliamo di centinaia di milioni di franchi – si potrebbero finanziare iniziative molto più mirate e utili per la coesione nazionale, sostenendo per esempio scambi di allievi fra le regioni linguistiche o investendo maggiormente nell’apprendimento delle lingue nazionali.

Questo esercito è antidemocratico? O almeno, contiene in sé elementi di antidemocraticità?

NS   Non lo so. Bisogna chiederlo a chi ha prestato servizio militare.

L’iniziativa non chiede per la Svizzera un esercito di professionisti; pretende però un esercito di soli volontari. Ma… non è un salto nel buio? Una minaccia alla sicurezza nazionale?

NS   Un esercito di professionisti è di fatto costituito da volontari, poiché nessuno li obbliga a impegnarsi nelle forze armate. In altre parole, “volontario” non vuol dire necessariamente “a titolo gratuito”. L’esercito di professionisti esiste inoltre in quasi tutti i paesi dell’Euroa occidentale, senza che la loro sicurezza nazionale sia minacciata.

Secondo lei un esercito formato di puri volontari di quanti soldati si troverebbe a disporre?

NS   Sicuramente molto meno dei 100’000 soldati che Governo e Parlamento propongono. Quella cifra corrisponde agli eserciti di Austria, Belgio, Norvegia e Svezia messi insieme… Ma c’è chi ancora fa finta di non rendersene conto.

Gli iniziativisti non stanno applicando all’esercito la cosiddetta “tattica del salame”? Una fetta dopo l’altra, sino a che non resterà che poca cosa. A un certo punto ci si domanderà: “Ne  vale ancora la pena?”

NS   Già due volte i cittadini svizzeri hanno potuto esprimersi su questa domanda e la maggioranza dei votanti ha detto di non voler abolire l’esercito. È possibile che la domanda verrà posta di nuovo, ma non è su questo che voteremo il 22 settembre. L’ultima parola spetterà comunque al Popolo e ai Cantoni.

Lei ha vissuto la cruciale votazione del 1989, quando il Gruppo per una Svizzera senza Esercito, proponendone l’abolizione, raccolse oltre il 35% dei suffragi, vincendo a Ginevra e nel Giura?

NS   No.

Il mondo non è in pace, è anzi in preda a violenti, anche se localizzati, conflitti. Gli iniziativisti dicono: a che serve alla Svizzera un esercito, in mezzo a un’Europa che si trova in pace? Ma l’Europa, anche in tempi recenti, non è sempre stata in pace. Basta pensare alla guerra nei Balcani, vicina a noi spazialmente e temporalmente.

NS   Ci sono altre strategie, ben più efficaci, per promuovere la pace nel mondo. Una sarebbe che i paesi ricchi distribuissero un po’ più della loro ricchezza verso i paesi poveri, visto che la miseria è una delle cause principali delle guerre. Ma anche perché parte di quella ricchezza è stata generata sulle spalle dei poveri.

L’esercito ha saputo salvare la Svizzera nella seconda guerra mondiale? Oppure la salvezza del paese è attribuibile ad altri fattori?

NS   Penso che la minaccia di far saltare, in caso di invasione tedesca, la galleria ferroviaria del San Gottardo, che assicurava i collegamenti fra la Germania di Hitler e l’Italia di Mussolini, abbia svolto un ruolo molto importante nella difesa nazionale. Ma per questa domanda è meglio rivolgersi a uno storico.

Lei pensa che i partiti borghesi sosterranno compatti il no all’iniziativa o ci potranno essere degli “sfilacciamenti” ?

NS   C’è un comitato borghese che sostiene l’iniziativa perché, dicono, un vero esercito non può basarsi sull’obbligo. I primi eserciti svizzeri, quelli invidiati da Machiavelli, per esempio, erano basati sul volontariato.

Penultima domanda. Che cosa pensa del nuovo aereo da combattimento, cioè in sostanza del “tormentone” dei Gripen?

NS   Una spesa assurda e inutile.

Per finire,  qual è la sua previsione sull’esito del confronto? Dopo 700 anni la Svizzera compirà la sua “rivoluzione copernicana”?

NS   È difficile fare previsioni. Non dimentichiamo la sorpresa del 1989, quando contro ogni aspettativa il 35,6% degli svizzeri e due Cantoni dissero sì all’abolizione dell’esercito. Fu uno choc per l’establishment politico e militare del Paese e li obbligò a rivedere i finanziamenti pro esercito. Il 1989 insegna dunque che talvolta anche una sconfitta può trasformarsi in vittoria. Inoltre il 22 settembre non votiamo sull’abolizione dell’esercito ma solo su una sua modernizzazione al passo con i tempi.

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