Dubbi sussistono attorno alle statistiche dell’economia, con critiche attorno al metodo di calcolo di determinati indicatori. Non si tratta di manipolazioni di dati economici quanto piuttosto di “opportuni cambiamenti” di metodologia.

Ultimo caso in ordine di tempo è il metodo di calcolo del Pil, il prodotto interno lordo, annunciato alla fine di luglio. Questo nuovo metodo considera investimenti – e non più costi di produzione – la ricerca e lo sviluppo.
Risultato : l’economia è gonfiata del 3%, il che corrisponde alla taglia dell’economia del Belgio, scrive il Financial Times. Il cambiamento non è privo di senso, ma il suo timing viene giudicato discutibile e politico da numerosi analisti, in quanto aumentare la taglia del Pil permette meccanicamente di ridurre il debito, essendo questo definito in percento del Pil.

Secondo John Williams, fondatore della società Shadow Government Statistics, i cambiamenti di metodologia di questi ultimi anni pongono problema soprattutto nel calcolo dell’inflazione.
Due si essi hanno permesso di mantenere basso il rincaro : l’introduzione delle nozioni di sostituzione e di qualità.
La prima significa che non si considera l’aumento di un prodotto fino a quando lo si può sostituire con un altro, considerato identico. Ad esempio una bistecca troppo cara può essere sostituita con un hamburger. L’altra nozione significa che non si tiene conto di un aumento del prezzo se la qualità del prodotto diventa migliore. In questo modo, ad esempio, il prezzo della benzina aumenta, ma la benzina diventa meno inquinante.

Secondo Williams questo significa imbrogliare, perché il costo della vita – che deve misurare l’inflazione – aumenta. Siccome l’inflazione, che considera sottovalutata, serve per calcolare il Pil reale, questo è meccanicamente sopravalutato : “E’ per questo motivo che gli Stati Uniti sembrano uscire dalla crisi più velocemente dell’Europa.”

Anche il calcolo della disoccupazione viene criticato da Williams, in quanto ritiene escluda troppe persone, soprattutto i disoccupati che non cercano nemmeno più un lavoro.
Secondo i suoi calcoli, il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti non è del 7,6%, come pretende il governo, ma è al 23%. Ben lontano dal 7% fissato dalla Federal Reserve per iniziare a togliere il suo sostegno all’economia.