In Yemen, Indonesia e Arabia Saudita centri di riabilitazione promuovono metodi “soft” per recuperare gli ex djihadisti di al Qaeda.
In programma seminari sugli affari religiosi per allontanare il pensiero dal djihad, alternati a momenti di relax degni di un villaggio di vacanze (sauna, fitness, sala di massaggi, …)

In Arabia Saudita si cerca di alleare spirituale e materiale creando infrastrutture di lusso per gli ex terroristi.
“Una maniera di presentarsi come un paese misericordioso, che rimette sulla retta via e cura al meglio gli ex djihadisti – osserva Stéphane Lacroix, professore di scienze politiche a Parigi e specialista dell’islam politico.
Qui, come nello Yemen e in Indonesia (dove centri simili sono stati creati) la riabilitazione passa dall’insegnamento religioso.
In Arabia Saudita questo insegnamento si ispira al salafismo non violento, il quale persegue una strategia di “re-islamizzazione” della società musulmana attraverso una predicazione di pace e non direttamente politica.

Oltre ai corsi di rieducazione religiosa, alcuni centri di riabilitazione sauditi propongono un aiuto psicologico per i partigiani di al Qaeda.

Secondo Raphaël Liogier, professore di sociologia a Aix-en-Provence e autore del libro “Le mythe de l’islamisation”, per le società musulmane come l’Arabia Saudita, il djihadismo non è considerato un atteggiamento normale per un musulmano : “I djihadisti hanno spesso in un complesso di identità. Sono frustrati economicamente e hanno una ferita narcisista che li spinge a reagire. Si tratta di una patologia psichica.”
In questo modo i centri di riabilitazione hanno la funzione di ridare a queste persone una visione positiva.

Liogier spiega che “cercano di capire come hanno fatto a giungere a questo punto e cercano di imparare nuovamente il Corano. Vengono aiutati a capire cosa vogliono essere, mostrando loro che è possibile esistere senza questo tipo di atteggiamento.”

(Slate.fr)