In Irlanda, paese commissariato dall’Europa per i suoi rovesci finanziari e sulla via di una lenta risalita economica, lo scorso luglio i 60 Senatori della Camera alta hanno deciso di cancellare l’istituzione in cui siedono.

Venerdì 4 ottobre, i cittadini irlandesi andranno alle urne per il referendum che sancirà la chiusura “per inutilità e per eccessiva spesa” del Senato. I sondaggi danno un 70% di voti a favore.

In Irlanda il Senato non è eletto dai cittadini ma le nomine sono di competenza del governo, dei partiti, delle università. È un club prestigioso, a suo modo, comunque senza un potere normativo: può solo bocciare le leggi.
Una grande perdita di tempo e uno spreco di risorse pubbliche che uno Stato di 4,5 milioni di abitanti non intende permettersi.

Da qualche tempo gli irlandesi hanno cominciato a manifestare disagio verso una classe dirigente ingrassata a dismisura. Adesso nessuno tollera sprechi, tanto meno sprechi e costi determinati dalla politica.
Se si chiedono tagli e sacrifici ai lavoratori, ai professionisti, agli imprenditori, occorre sacrificare anche qualche rappresentante del popolo sovrano. Quale migliore occasione per sperimentare una sana e rigeneratrice amputazione istituzionale?

L’eliminazione del Senato farà risparmiare 20 milioni di euro l’anno, ma più dell’aspetto finanziario conta la volontà di eliminare il superfluo delle cariche inutili e obsolete, di chi anziché progettare e approvare le leggi le blocca in nome di interessi di clan.

L’Irlanda regala un esempio (come la Danimarca, la Svezia, la Nuova Zelanda) di che cosa significhi, per davvero, ridimensionare i costi della politica.

(Fonte : Corriere della Sera.it)