Sabotaggio, si fa presto a dire “sabotaggio”.  È di un’evidenza solare il fatto che il padronato non vuole farsi coinvolgere in questa faccenda, che è tutt’altro che chiara. E farebbe bene a dirlo sinceramente, senza arrampicarsi sui vetri. Ma forse… non sarebbe politicamente corretto!

Il CdC, se si farà, si farà con denaro pubblico. Il vero problema è che nessuno sa veramente (come bene ha fatto notare in un articolo Athos Ambrosini) che cosa esso sia / debba essere / sarà. Forse l’MPS potrebbe essere in grado di dirmelo. Nel qual caso pagherei volentieri da bere.

Questi dunque sono i nostri marxisti-rivoluzionari. Che cos’abbia di “rivoluzionario” un simile statalismo incondizionato e feroce è, in verità, uno dei piu’ grandi misteri della politica. (fdm)



Eravamo stati facili  profeti  temendo che, attorno al progetto di centro di competenza nel settore del trasporto ferroviario (CdC), si sarebbero sviluppate  forme più o meno velate di sabotaggio.

Naturalmente nessuno osa, almeno per il momento, esprimersi apertamente contro questo progetto; ma i distinguo, lo abbiamo visto a più riprese, cominciano ad essere numerosi. È in questa direzione che si muove la decisione delle associazioni padronali ticinesi (AITI e CcTi) che, pur ribadendo il proprio sostegno al progetto, ne chiedono un “ridimensionamento” e rinunciano a far parte del consiglio di fondazione del CdC. La battaglia per affermare il CdC rimane quindi aperta e deve sistematicamente scontrarsi con le resistenze di parte padronale.

Ricordiamo come dapprima sia stato necessario piegare le resistenze del principale partner del progetto, le FFS; le quali le loro riserve di fondo non le hanno certo deposte, ma hanno comunque dovuto accettare, nell’ambito del progetto di convenzione che sta alla base della possibile nascita CdC, di fornire, almeno sulla carta, un certo numero di garanzie.  Le FFS hanno così dovuto condividere, almeno sulla carta, l’idea di fondo che hanno sempre più o meno chiaramente osteggiato: e cioè che il CdC  dovrà essere non solo un ufficio con un direttore e qualche collaboratore, ma un progetto  che, partendo dal ruolo centrale e propulsore delle Officine di Bellinzona, cercherà di  affermarsi su tutto il territorio come vero e proprio progetto di sviluppo industriale in un settore importante come quello della tecnica ferroviaria.

Abbiamo già espresso a più riprese i nostri timori che le FFS, una volta passata la fase degli accordi, possano in qualche modo “tirarsi indietro”, in particolare sviluppando una politica in seno alle Officine che nega a queste ultime quella autonomia gestionaria, produttiva e finanziaria senza la quale non vi sarà alcuno sviluppo del CdC.

Ed ora, ecco affacciarsi  un ulteriore colpo (quasi che vi fosse uno scenario prestabilito) da parte dei padroni del settore industriale cantonale e della Camera di Commercio, con le loro riserve sul progetto, addirittura auspicando un “ridimensionamento” dello stesso e facendo un passo indietro rispetto alla loro stessa partecipazione al progetto.

La posizione padronale è presto riassunta: il CdC, ai loro occhi, non deve essere null’altro che una sorta di ufficio che, sulla scorta di impulsi e valutazioni di “competenti” imprenditori, deciderà quali progetti promuovere. È per questa ragione che, immaginiamo, non ritengono necessario che le associazioni padronali (AITI e Camera di Commercio) siano presenti nel  comitato della fondazione del CdC. Naturalmente sappiamo che questa posizione padronale non è  un atto di modestia: si vuole suggerire anche gli altri partner coinvolti nel progetto, a cominciare dai lavoratori delle Officine e dai sindacati, di “ritirarsi” e lasciare il posto ad “avveduti” manager di progetti industriali.

Non  sfuggirà poi a nessuno che, dietro la cortina fumogena sollevata da questa presa di posizione delle associazioni padronali, si nasconda in realtà la difesa di posizioni di privilegio padronale nella politica di sviluppo di progetti industriali, in particolare attraverso  la fondazione AGIRE che potrebbe sicuramente subire effetti di concorrenza da parte del CdC. Tale fondazione, alla quale partecipano diversi dei soggetti  implicati nel progetto  CdC, ha un profilo che per molti aspetti potrebbe sovrapporsi a quello dello stesso CdC.

Non sorprende quindi che il padronato “consigli” un ridimensionamento del progetto CdC che, a suo avviso,  dovrebbe pure essere “ricondotto alle oggettive caratteristiche e possibilità dei settori di pertinenza“. Persino sul progetto formativo (che di fatto è un progetto collaterale al CdC) il padronato ritiene che anch’esso vada ridimensionato e  che gli obbiettivi di questo centro di formazione nella tecnica ferroviaria “debbano essere allineati alle reali esigenze dei settori coinvolti“.

E che i padroni dell’industria ticinese siano sostanzialmente dei bugiardi lo conferma proprio una breve riflessione che si fondo su un’analisi della composizione stessa della Fondazione AGIRE. Scrivono AITI e CCTi, nella loro presa di posizione, che “la Fondazione del Centro di competenza debba essere invece caratterizzata da una forte e diretta presenza imprenditoriale” e che “Il direttore del Centro di competenza deve potersi rapportare a un Consiglio di Fondazione che sia caratterizzato dalle precise competenze ed esperienze d’imprenditori operatori dei settori della mobilità e di eventuali altri settori aziendali coinvolti“. È questa la “teoria” esposta a giustificazione del  loro passo indietro rispetto alla partecipazione al Consiglio di Fondazione del CdC. La “pratica” di AITI e CcTi è invece ben diversa. Guardiamo chi fa parte del Consiglio di Fondazione di Agire: i due estensori della  presa di posizione padronale (Modenini e Albertoni per AITI e CcTi), Giorgio Giudici (per la città di Lugano), Giambattista Ravano  (SUPSI), Stefano Rizzi (DFE), Alfredo Gysi (per il settore finanziario), Martin Hilfiker (rappresentante degli Enti Regionali), Piero Martinoli per l’USI).  Quali sarebbero, ci chiediamo, gli imprenditori direttamente attivi sul terreno?

Per riassumere, è evidente che ai padroni dell’industria ticinese non piacciono:

– la logica di interesse pubblico con la quale vuole svilupparsi  il progetto di CdC; una logica che non rinuncia alla collaborazione con settori privati, ma che vuole mantenere e sviluppare una logica di intervento pubblico nel settore del trasporto ferroviario;

– la logica partecipativa che anima il progetto; che si realizza attraverso la partecipazione dei lavoratori alla elaborazione e messa in pratica del progetto stesso, unitamente alle loro organizzazioni sindacali, all’ente pubblico cantonale e di quelli regionali e cittadini;

–  la potenziale concorrenzialità di un progetto di questo tipo, pubblico e partecipativo, nei confronti dei loro affari orientati tutti in una logica privata e di scelte ristrette.

L’MPS ritiene che il governo, e il DFE per suo conto, debba a questo punto rompere qualsiasi esitazione e assumere un ruolo molto più attivo e determinato di quello fin qui svolto, troppo spesso condiscendente con coloro che hanno tentato e tentano di frenare o di far deragliare (per restare in tema) il progetto. Il tentativo di sabotaggio padronale (di questo si tratta chiaramente) va respinto e il CdC va con celerità creato e sviluppato con tutti coloro che seriamente ed onestamente sono disposti a parteciparvi.

Movimento per il Socialismo