I banchieri americani telefonano ai deputati repubblicani del Congresso e le loro chiamate sono sempre meno educate; mobilitano i dirigenti delle grandi aziende e la potente Camera di Commercio. Malgrado la proposta repubblicana per un aumento del debito di sei settimane (che il presidente Obama deve ancora esaminare), Wall Street è preoccupata e non vuole sentir parlare dell’ipotesi di un default di pagamento. Ipotesi che si tradurrà in realtà fra due settimane, se la proposta repubblicana verrà respinta e se nessun accordo verrà trovato.

Il problema è che ci sono due Wall Street e due partiti repubblicani.
La prima Wall Street, quella dei Lloyd Blankfein (Goldman Sachs), Jamie Dimon (JP Morgan Chase) o Michael Corbat (Citigroup), è autenticamente nel panico all’idea della reazione a catena provocata da un default di pagamento, anche minimo o di breve durata.
Questa Wall Street si rivolge al primo partito repubblicano, quello degli eletti più o meno moderati e ragionevoli, coscienti che il paese è sul bordo di un Armageddon finanziario.

Ma l’altra ala del partito, che conta circa il 40% degli eletti e non vuole o non osa sfidare il Tea Party, guarda verso la seconda Wall Street : quella dei traders, la Borsa che dall’inizio della crisi del bilancio ha perso solo qualche punto e che ancora ieri ha visto il Dow Jones chiudere al rialzo.
Questa Wall Street non è stupida : nei precedenti scontri sul bilancio o il debito fra Barack Obama e la destra ha visto come i due partiti finiscono per trovare sempre un compromesso.

Dal primo clash sul tetto del debito, nell’estate 2011, i mercati hanno imparato a trattare queste tensioni come degli happenings di vecchi attori stanchi.
Certo, la crisi del 2011 aveva cancellato 6.000 miliardi di dollari di capitalizzazione in Borsa su scala mondiale, ma le Borse erano ben presto ripartite al rialzo.
Sarebbe però sufficiente ben poco per far spaventare i mercati : quando nel 2008 i repubblicani avevano respinto un piano del governo per il salvataggio delle banche, in un giorno la Borsa aveva perso il 7%.

Da un lato, la calma della Borsa incoraggia l’ala ultraconservatrice della destra nel suo rifiuto di un compromesso.
Una manciata di eletti coriacei ritiene che i timori sul debito sono tutt’al più una manipolazione : “C’è molta esagerazione incoraggiata dai media – afferma ad esempio Ted Yoho, congressman della Florida – Non ci troveremo in una situazione di default.”

Questo genere di dichiarazioni dovrebbe far paura agli investitori, perché nel caso di un blocco politico sul debito le Borse potrebbero andare nel panico in mille modi e molto rapidamente, in quanto le somme in gioco sono enormi. Il panico sarebbe mondiale, perchè circa la metà del debito pubblico americano è detenuta da governi stranieri.

I prossimi giorni mostreranno chi vincerà; se i dirigenti inquieti o gli investitori imperturbabili.
Il problema è che Wall Street da un lato cerca di spaventare o di far ragionare i politici e dall’altro fa ben attenzione a non vendere in un mercato che non scende.
I giorni passano e questa schizofrenia è sempre meno sopportabile. Se non lo faranno i politici, sarà Wall Street a dover decidere.

(Le Nouvel Observateur.fr)