Continua il dibattito, innescato da un primo articolo di Tito Tettamanti, sul tema “Una Svizzera che si vuole cambiare” (= che alcuni vogliono cambiare…) cioè – in sostanza – sul grande eterno scontro tra liberalismo e socialismo. L’iniziativa della sinistra, il cui nome trovate nel titolo, è stata lanciata il 15 febbraio 2013 ed è riuscita. Paolo Pamini, liberale fin nelle midolla e autorevole esponente di AreaLiberale, ci sottopone oggi queste sue considerazioni.


Con la speranza che questa volta sia il corretto zuccherino, il partito socialista svizzero propone un’imposta federale di successione a vantaggio dell’AVS. Purtroppo, a rigor di logica nessun legame esiste tra AVS ed imposta di successione, ed il fatto stesso che regolarmente si debba puntellare la pensione di Stato (si veda l’oro della Banca nazionale o gli aumenti dell’IVA) dovrebbe piuttosto aprire gli occhi sulle deficienze strutturali di una pensione pagata da chi oggi lavora a chi oggi è pensionato, senza alcuna garanzia per il futuro.

L’illusione che in fondo a pagare l’imposta di successione siano i morti impedisce a prima vista di comprendere quanto questa sia una piaga ingiusta e dannosa, della quale fortunatamente i cantoni si sono liberati e che non sarebbe proprio il caso di reintrodurre a livello federale. Una persona morta non può ovviamente essere il soggetto fiscale in senso economico: l’imposta di successione è un’imposta pagata dagli eredi al passaggio di proprietà.

A prescindere dall’osservazione fondamentale che qualsiasi imposta è necessariamente ingiusta perché attacca la proprietà privata senza il consenso del legittimo proprietario, l’imposta di successione è ingiusta perché colpisce le persone in modo non uniforme. In generale, si può considerare ingiusta un’imposta quando vi è una sistematica disparità di trattamento. La tassa sui morti infatti colpisce solo un determinato passaggio di proprietà (quello intergenerazionale), e per essere giusta dovrebbe coerentemente colpire con la stessa rabbia tutti i passaggi di proprietà, quindi tutte le normali transazioni. Si noti che la giustizia fiscale non ha nulla a che vedere con la distribuzione dei risultati, poiché va intesa come giustizia procedurale. Quella che taluni amano chiamare giustizia redistributiva è tutt’al più raggiunta con l’uso dei proventi fiscali.

Perché mai dovremmo tassare proprio il passaggio di proprietà tra due individui derivante dalla morte di uno dei due? La dannosità dell’imposta di successione è chiara se si pensa a quanto questa punisca il risparmio intergenerazionale e l’accumulazione di capitale nella famiglia. Poiché l’accumulazione di capitale è uno dei fattori fondamentali dello sviluppo economico (accanto alla divisione del lavoro, ad una moneta stabile e alle innovazioni tecnologiche), punendola l’intera collettività ci perde. In particolare, l’imposta di successione colpisce le classi medie che con grande sacrificio risparmiano qualche centinaio di migliaia di franchi, abbastanza per superare le soglie di esenzione ma troppo pochi per ricorrere alle ovvie strutture fiscali che i più agiati andranno a scegliere.

Vi è da ultimo una fondamentale e cinica incoerenza nell’imposta di successione. Quotidianamente lo Stato fa di tutto (tassazione del fumo, obbligo di caschi e cinture,…) perché i suoi cittadini non creino costi pubblici. L’imposta di successione invece punisce la vera occasione di affrancamento dalla povertà e dallo Stato sociale, cioè l’amorevole passaggio di un piccolo gruzzolo ai propri cari affinché questi possano vivere meglio di chi ha lasciato questo mondo. Questa è la vera disumanità dell’imposta sui morti.

Paolo Pamini – Economista, ETHZ e Liberales Institut