Da oltre due anni la questione assilla la ribellione siriana : chi può parlare a suo nome? Chi può pretendere di rappresentarla e di farsi obbedire dai molti gruppi armati sul terreno, di fronte al regime del presidente Bashar al Assad?
Americani e russi si sforzano di convocare una nuova conferenza di pace sulla Siria. Parallelamente allo smantellamento dell’arsenale chimico del regime siriano, la conferenza “Ginevra 2” potrebbe tenersi alla fine di novembre.
Una prospettiva in agenda a Londra il 22 ottobre, dove erano riuniti i rappresentanti di una decina di paesi che formano il gruppo “amici della Siria”, il quale intende favorire una transizione politica nel paese.
L’interlocutore degli “amici della Siria” è il principale movimento di opposizione, la Coalizione nazionale siriana (CNS), che a Ginevra dovrebbe trovarsi di fronte i rappresentanti di Damasco.
Ma la rappresentativa della CNS non viene accettata da tutti. In settembre ha subìto una sconfitta politica, quando diversi gruppi di ribelli hanno dichiarato di non riconoscere in alcun modo questa organizzazione.
Il fulcro della CNS è formato da esponenti dei Fratelli musulmani, ma la coalizione si è aperta anche ad altre componenti della società siriana – democratici, laici, curdi, cristiani.
E’ un fatto che non riesce a imporsi come “governo” nelle zone liberate dai ribelli e che fatica a fare l’unanimità al suo interno, anche se all’esterno è l’unica rappresentante dell’opposizione.
Questo è dovuto in gran parte alla storia della ribellione siriana. All’inizio era una rivolta pacifica partita da settori diversi della società. Dal marzo al novembre 2011, migliaia di siriani, disarmati, hanno sfidato il regime con semplici manifestazioni nelle strade.
Quello che li ha fatti virare verso la lotta armata è stata la brutale repressione di queste manifestazioni. Il loro è stato un riflesso di autodifesa. Di colpo l’opposizione, o parte di essa, si è posta sotto la protezione di paesi intenzionati a vendere armi ai ribelli.
Tre di questi paesi, Arabia Saudita, Qatar e Turchia non hanno esitato a sostenere – più o meno direttamente – unità djihadiste spesso vicine a al Qaeda.
“In Siria non esiste una rivoluzione islamista, ma un sollevamento popolare finanziato principalmente da fonti islamiste – scrive il centro di studi “Initiative arabe de réforme” in una recente pubblicazione.
Da qui viene una parte della tragedia siriana. Perchè i governi di Riyad, Doha e Ankara hanno contribuito a modellare il profilo islamista della ribellione. Questo profilo fa il gioco del regime all’interno, spaventando molte minoranze siriane e all’esterno suscita una crescente diffidenza fra l’opinione occidentale.
(Le Monde.fr)