O è meglio lasciarla navigare nel mare aperto della globalizzazione?

L’ala sinistra di Ticinolive (ma abbiamo anche Contarini, Ay, …) – essendo la destra reazionaria rappresentata dal professor De Maria e la “destra sociale dal volto umano” dal dottor Soldati – ci manda questo bell’articolo, ben argomentato, colto, a commento del notevole dibattito Tettamanti-Cavalli andato in onda ieri sera su Teleticino.

Una doverosa (anche se personale) osservazione. Il compito di Tettamanti è – nelle presenti circostanze – ben più difficile del compito di Cavalli.


L’interessante dibattito avviato da Tito Tettamenti sulla stampa ticinese a proposito della Svizzera e del suo momento odierno ha preso una direzione ben precisa sintetizzata dal quesito: la Svizzera va bene così com’è o va cambiata? A questa domanda hanno cercato di rispondere in un altrettanto interessante dibattito tv lo stesso Tettamanti e Franco Cavalli.

Vorrei rimarcare innanzitutto che le tesi portate al dibattito da Cavalli sono condivisibili nella formulazione di quelle che ha proposto come le “vere ragioni” per cui la Svizzera è quella che è o, meglio, era fino a un recente passato (un paese sostanzialmente evolutosi fino a una forma di capitalismo in qualche modo partecipato anche dalle forze sociali in rappresentazione dei lavoratori – vedi “pace del lavoro” ovvero ricerca di mediazione fra capitale e lavoro), ragioni che tuttavia sono state rinnegate e, in qualche modo, gettate in un fosso dalla globalizzazione imperante che non guarda in faccia a nessuno, tantomeno alla Svizzera.

Tettamanti, invece, ha sostenuto ancora una volta un modello elvetico resistente nel tempo e capace di autogenerarsi proprio in quanto modello vincente (leggi competitivo). Che Tettamanti sia un grande liberista è noto a tutti, e lo si è potuto notare anche stavolta allorché ha criticato aspramente gli eccessivi, a suo dire, compiti dello Stato. La critica dell’elargizione di troppi aiuti al Terzo mondo, da parte dello Stato elvetico, è emblematica del pensiero tettamantiano. Questi aiuti, per Tettamanti, “sono finanziati dai poveri (degli Stati ricchi) e vanno ad arricchire i ricchi (i dittatori) degli Stati poveri”. Ridotta a queste schematizzazioni, la solidarietà perde ogni significato e anche lo Stato, “ristretto” fino a una sottiletta insignificante dal liberismo di Tettamanti, perderebbe ogni sua ragione d’essere.

Ed è invece proprio lo Stato – non quello vilipeso della burocratizzazione eccessiva e degli abusi reali o supposti tali che permetterebbe, ma quello efficace nel governare dinamiche interne e flussi esterni – il baluardo svizzero per eccellenza, oppure, per esplicitare ancora meglio, quel vascello capace di farci navigare sopra il pelo dell’acqua nel burrascoso mare globale.

Perché dico questo? Ma perché un grande dibattito come quello avviato dal referendum 1:12 che andremo a votare (per chi non l’ha ancora fatto) fra pochi giorni, ruota proprio attorno ai compiti dello Stato di regolare i rapporti di redistribuzione della ricchezza, in questo caso favorendo un fattivo innalzamento dei salari minimi (indegni della ricca Svizzera) e limitando la “bolla speculativa” salariale dei manager che si autoaumentano stipendi già enormi e spropositati. In rapida successione andremo a votare anche a proposito di un ancoramento nella legge del salario minimo, ed è quindi chiaro che i pezzi sulla scacchiera dei compiti dello Stato per quel che riguarda la regolazione della ricchezza sono stati posti: ora tocca alla popolazione elvetica muoverli.

Riuscirà, quindi, la Svizzera a imporre delle regole che valgono sul suo territorio in tema di salari e ridistribuzione della ricchezza? Oppure, anche un po’ maldestramente, si accascerà, vinta e sconfitta, su una di quelle pompose poltrone che, nei consigli di amministrazione, denotano potere, ricchezza e arroganza?

Noi svizzeri, fino a una ventina di anni fa, non eravamo abituati all’esplosione dei salari massimi, un chiaro portato della globalizzazione finanziaria. Non si vede, dunque, perché non potremmo regolamentare quest’esplosione sul nostro suolo, nel caso avessimo ancora – e credo che ce l’abbiamo – la sovranità popolare di decidere forme restrittive in questo ambito, e quindi anche la capacità di decidere in concreto le sorti dell’interazione sociale nel nostro Paese al di là delle pruderies salariali dei ricconi investitori e/o speculatori.

In questo mio ragionare, che sostanzialmente è anche quello di Franco Cavalli, sono supportato – a parte la già sorprendente posizione a favore di “1:12” di Gianfranco Soldati – anche da un altro conservatore tutto d’un pezzo come Armando Dadò che si esprime in termini simili in una sua opinione pubblicata dal “Corriere del Ticino”. Dadò a un certo punto dice chiaro e tondo: “Le ragioni per cui la Svizzera funziona meglio non sono certamente dovute ai salari stratosferici dei grandi manager. La Svizzera è quello che è per ragioni storiche, geografiche, per la laboriosità del suo popolo (e qui io ci inserisco anche la laboriosità degli stranieri che vi risiedono), per la mancanza di scioperi, perché è una nazione confederale” dando in sostanza ragione a Franco Cavalli per quel che riguarda i motivi per cui “la Svizzera è quello che è”.

Che cosa potrebbe diventare in futuro? Beh, qui le ipotesi e gli scenari possono essere parecchi e parecchio differenti, è chiaro tuttavia che quelli liberisti di un Tettamanti sono di fatto “globalizzanti” (nella sua “visione” la Svizzera, aderente in pieno alla competizione sfrenata del capitale globale, dovrebbe fare affari con Singapore ecc.), mentre quelli di un Cavalli potrebbero andare nella direzione del celebre “principio speranza”, concetto coniato dal filosofo marxista (o post-marxista) Ernst Bloch che evidenzia come il “fronte” della solidarietà umana nasce e si afferma nei campi della cultura, del vivere assieme, del condividere e scambiare idee e impegno.

Lo stesso Karl Marx riteneva che il capitalismo supercompetitivo e avidamente speculatore sarebbe stato superato proprio a partire dalle e concretamente nelle società capitalistiche evolute. Se il modello svizzero “della pace del lavoro” appartiene a questo inizio di “superamento”, allora potremmo essere proprio noi svizzeri, se sapremo regolamentare le basilari questioni sociali e salariali in Svizzera, i frontrunner della corsa verso una società migliore…

Sergio Roic