L’on. Giovanna Viscardi, avvocato, granconsigliera e consigliera comunale, è  – come il dr. Gianella – una quotata candidata alla presidenza della sezione luganese del PLR. Pubblichiamo con il consenso dell’Autrice questo suo interessante articolo, già apparso sulla Regione.

Articolo senz’altro bello e colto, forse un po’ troppo idealistico. Quando Giovanna scrive: “Cosa succede se quei partiti o quei movimenti sono, a loro volta, dominati da una élite che invece di avere un rapporto sano e trasparente con la base, impone decisioni verticistiche che soddisfano ancora e solo una minuta parte della popolazione, e non coinvolgono il restante 70%?” pone un interrogativo imbarazzante. La prima cosa da farle notare è che la (deplorata) situazione è (ed è stata) molto diffusa, in primis nel suo stesso partito. Ricordarsi sempre che certe espressioni accattivanti, tipo “decisioni che vengono dal basso”, “consultazione della base” e consimili, costituiscono tendenzialmente una forma di adulazione dell’elettore e hanno quasi sempre un contenuto di realtà vicino allo zero. Giovanna ci dice in sostanza (e ha ragione): le élites/oligarchie non esistono solo nelle dittature!

Per finire, quale presidente serve al PLR di Lugano? Qui la risposta è facile (ma non così facile la realizzazione). Un uomo, o una donna, che sappiano riportare in alto l’idea politica liberale, rendendola concreta e facendola di nuovo e ancora una volta vincente, dopo una forse preannunciata ma non meno amara sconfitta.


In questi giorni sono apparsi, nella forma di interviste, due contributi critici riguardo alla democrazia: “democrazia malata” (La Regione 6.11.2013) e “se la democrazia degenera” (La Regione 7.11.2013). Il tema, di cruciale attualità, è assai complesso; se ne può tuttavia fare un primo modesto accenno, per quanto attiene al ruolo dei partiti.

Noam Chomsky (linguista, filosofo e teorico della comunicazione statunitense) afferma che ben il 70% della popolazione non ha nessuna influenza sulla politica, e che il potere è in mano a poche élites economiche e finanziarie. E chi potrebbe dargli torto, in questo inizio del ventunesimo secolo, ove sotto la specie della speculazione finanziaria, si è concretata la figura del moderno Leviatano. Quindi, la politica sembra essersi dissociata e distanziata dai bisogni reali e quotidiani della popolazione. Il cittadino comune non solo non si sente coinvolto, ma addirittura non si sente considerato se non quando si avvicinano elezioni o votazioni importanti. Non c’è dunque da stupire se ci si trova confrontati con i dati relativi alla bassa partecipazione al voto.

La classe politica tende a notare la presenza del cittadino solo allorché questi è utile e fondamentale per il mantenimento della propria posizione di potere. Si assiste a una danza di conquista e adulazione, intessuta su grandi promesse che poi, per lo più, vengono disattese. In questo senso ha ragione il professor Michele Ciliberto quando dice che “il rischio di derive dispotiche è interno alla democrazia”: ma nella maggior parte degli Stati moderni, il dispotismo non risiede tanto nel rapporto tra un leader e il popolo, quanto piuttosto nella relazione tra un’intera classe politica -più che altro identificabile con l’élite definita da Chomsky- e quella larga parte della popolazione che non si sente sufficientemente presa in considerazione.

E allora, come giustamente afferma Ciliberto, citando Tocqueville, per arginare il problema del progressivo dispotismo in seno alla democrazia, bisogna individuare i cosiddetti “contrafforti”: associazioni e partiti. Questi hanno il compito di ristabilire un rapporto sano tra la politica e il cittadino: devono costituire il mezzo attraverso il quale la popolazione possa raggiungere quella élite politica che ha perso di vista l’importanza della crescita culturale e dei bisogni dei singoli, per concentrarsi su problematiche parziali, che sempre meno rispondono alle aspettative delle persone.

Qui si pone però un quesito: cosa succede se quei partiti o quei movimenti sono, a loro volta, dominati da una élite che invece di avere un rapporto sano e trasparente con la base, impone decisioni verticistiche che soddisfano ancora e solo una minuta parte della popolazione, e non coinvolgono il restante 70%? La degenerazione e la malattia della democrazia sembrano germinare proprio laddove Tocqueville individuava la soluzione per evitare la caduta nel dispotismo: nei partiti e nei movimenti.

Quando un partito cura e persino promuove gli interessi di alcuni, a scapito di altri, non è più in grado di ottemperare ai propri compiti di mediazione tra il cittadino e la politica; diventa esso stesso lo strumento di una élite: perde credibilità, e, conseguentemente, consensi. Un partito, deve essere in grado di scomporre questi meccanismi rovinosi, e di ricostituire gli indispensabili legami umani tra il cittadino e la politica, rigenerando quel senso di appartenenza, di compartecipazione e condivisione ormai quasi del tutto perduto. Diverso potrebbe essere il discorso, qualora le élites fossero “illuminate”; ma la prodigiosa stagione dei lumi è difficilmente riproducibile in questo periodo di oscurità.

on. Giovanna Viscardi