UNO (da una pagina Facebook) Walter Veltroni e Marcello De Angelis presentano il libro L’inferno sono gli altri.

L’autrice del libro Silvia Giralucci parteciperà al dibattito che andrà in onda domani sera 19 novembre su La 2 dopo la proiezione del film “Sangue” di Pippo Delbono e Giovanni Senzani, brigatista rosso.

Silvia Giralucci

Gli anni Settanta a Padova come in tante altre città italiane sono stati anni di grandi passioni, di sogni, di indignazione e di ribellione. Ma anche anni nei quali da molti veniva sentito come legittimo l’uso della violenza nella politica. Alla memoria, ancor oggi divisa, di quel decennio così importante e ancora attuale nella storia italiana è dedicato il libro “L’inferno sono gli altri” della giornalista Silvia Giralucci.

Partendo da un punto di vista umanamente molto interessato alle vicende di quegli anni, l’autrice – figlia della prima vittima delle Br, Graziano Giralucci ucciso nella sede del Msi di Padova il 17 giugno del 1974 – va alla ricerca delle ragioni di un decennio, dello spirito del tempo in cui per la politica valeva la pena morire o rischiare di rovinarsi la vita.

Sulle tracce degli ideali e delle tempeste che hanno attraversato quegli anni, Silvia Giralucci ha incontrato alcune persone che, da una parte e dall’altra, hanno vissuto in prima persona gli anni caldi dell’Autonomia padovana e le cui storie, antitetiche e inconciliabili, formano un mosaico di memorie «divise».

Cecilia, la sfrontata «ragazza dello yoga», che di quel tempo rimpiange l’ironia e la voglia di cambiare il mondo. Il suo nemico giurato, Guido Petter, insigne docente ed ex partigiano, fondatore a Milano del Convitto Rinascita, che dopo aver vissuto il ’68 accanto agli studenti diviene bersaglio dei ragazzi dei Collettivi che teorizzano e praticano l’illegalità diffusa e la violenza di massa.

Pietro Calogero, il magistrato che condusse l’inchiesta «7 aprile» e fece arrestare i vertici dell’Autonomia operaia organizzata, sospettati di collusione con le Br. L’«infame» Antonio Romito, il sindacalista che, dopo l’assassinio di Guido Rossa, passò da Potere operaio al Pci e collaborò con la giustizia.

Pino Nicotri, il giornalista accusato di essere uno dei «telefonisti» nei giorni del sequestro Moro. E poi, in colloqui più sofferti e difficili, ex autonomi che hanno conosciuto la durezza del carcere ma non si sono «pentiti». Nella ricerca delle ragioni dei «sovversivi» che volevano fare la rivoluzione e nel racconto delle prove di coraggio di chi, per contrastarli, ha messo a repentaglio la proprio vita, è riconoscibile il tentativo di ricucire i lembi di una ferita privata, che però può essere un modo per curare anche le tante aperte da allora sul corpo della società italiana.

Si osservi, nelle parole del comunista “moderato” Veltroni, l’assenza di qualsiasi condanna esplicita e netta del terrorismo. Colpiscono il lettore esperto e attento (ma, forse, ogni lettore solo minimamente lucido) certi termini ed espressioni, come “grandi passioni” (che cosa non si fa nel turbine di una grande passione?), “sogni” (rincorriamolo il nostro sogno, e guai a chi si dovesse mettere in mezzo, è già morto), memorie “divise” (carnefici e vittime sullo stesso piano, gli uni di qua, gli altri di là, una specie di partita di calcio, vinca il migliore), “ricucire i lembi” (ragazzi, è stato un bel match, tosto, duro; e dopo il sacrificio di Moro andiamo avanti, con Berlinguer, Craxi, mani pulite, Berlusconi e Napolitano).

Il “bruco” Veltroni (lo chiamano così) non nomina Giovanni Senzani ma scommetto che sarebbe pronto a dirci: “Anche lui aveva il suo sogno, le sue grandi passioni. Diamogli almeno l’occasione di spiegarsi!”


DUE Eufemismo (dal greco: parlar bene). Beh, sappiamo tutti che cosa vuol dire. Vi faccio quattro esempi caratteristici:

  • «Passare a miglior vita» per non dire morire;
  • «Questa ragazza è bruttina» per non dire che è orrenda;
  • «Questo piatto lascia a desiderare» per non dire che è ripugnante;
  • «Una persona poco intelligente» per non dire che è stupida (in questo caso in forma di litote)

Esiste anche il “disfemismo”, che è il suo contrario. Ad esempio, quando nel film “Patton generale d’acciaio” il terribile protagonista s’imbatte in un suo collega, comandante di altissimo rango, e giovialmente lo apostrofa con un sonante e ammirativo: “Che piacere trovarti, vecchia baldracca!

L’eufemismo di Giovanni Senzani. A un certo punto nel film, verso l’inizio, se ci state attenti, il brigatista non pentito nomina “la pratica”. Un termine assai neutro e, tutto sommato, tranquillizzante. Eppure la “pratica”… consisteva nell’assassinare la gente.

Durante la guerra d’Algeria Roger Degueldre, terrorista pied-noir dell’OAS, fucilato sotto De Gaulle, redigeva delle fiches così concepite: “Ce type a une langue qui mériterait bien d’être raccourcie. Bon pour OPS (Opération Ponctuelle Spéciale) à exécuter”. L’eufemismo di Roger Degueldre. Una pallottola nella nuca.

Work in progress, continua