ZIBALDONE 11

(fdm) Il dottor Soldati prosegue implacabile nella sua campagna anti-USA, che sembra – dati alla mano – indiscutibile, ma non lo è al 100%. Come “relativizzare” (non già: annichilire) la sua tesi (che è la tesi del professor Albert Stahel)?  Verrebbe voglia di esclamare “Non si può regnare innocenti!”, ciò che costituisce una grandissima verità, ma potrebbe suonare quasi come una conferma delle accuse. Pur contemplando i fatti, diligentemente esposti ed allineati, io resto tuttavia perplesso per l’unilateralità del discorso, indubbiamente inquietante. E se elencassimo tutte le guerre di aggressione di Roma, prima regno, poi repubblica e infine impero? Osservo infine che ai due immani conflitti mondiali, dai quali è dipeso, letteralmente, il destino dell’umanità… è dedicata una riga.

Albert Stahel, professore, esperto in studi strategici, è anche un politico. Nel 2010 militava nell’UDC; è passato in seguito ai Verdi Liberali. Dal novembre 2013 egli appartiene ai Democratici Svizzeri.

Guerra Vietnam

USA in guerra, in stragrande maggioranza guerre di aggressione, dal giorno della loro accettazione internazionale, con il trattato di Parigi del 3 settembre 1783.

Leggo e riprendo, da “Zeit-Fragen”, un interessante articolo del Prof.Albert Stahel, direttore di un “Istituto di Studi Strategici” con sede a Wädenswil.

Guerre statunitensi: dal 1801 al 1805 contro il Marocco, l’Algeria, la Tunisia e la Libia.

Il 18.6.1812 dichiarazione di guerra alla Gran Bretagna, allo scopo di partire alla conquista del Canada, campagna terminata il 24.12 1814 con la pace firmata a Gand (Belgio).

Nel 1815 ripresa della guerra nell’Africa del Nord, questa volta con esclusione del Marocco.

Nel 1834, con il “Removal Act”, trasferimento forzato (e, aggiungo io, inizio di un vero e proprio genocidio rimasto e che purtroppo rimarrà impunito) delle tribù indigene stabilite da sempre su territori ad occidente del Mississipi. Nel 1838-39 cacciata dei Cherokee dal Nord Carolina in quel che diventerà l’Oklahoma. Contemporaneamente guerra ai Seminoli in Florida.

Nel 1845 aggressione e annessione (n.d.r.: il “vizietto” di aggredire ed annettere non è certo stato una prerogativa del Signor Adolfo Hitler) della Repubblica del Texas, allora uno stato indipendente ufficialmente riconosciuto.

Tra il 1846 e il 1848 guerra contro il Messico, con l’annessione globale di California, Nuovo Messico, Arizona, Nevada e Utah, parziale di Kansas, Colorado e Wyoming. Il Messico ha così perso per sempre una buona metà del suo territorio.

Nel 1853 si va nel misterioso paese dei Samurai, con il commodoro Matthew Perry a forzare l’apertura dei porti a suon di cannoniere. Un anno dopo, in Nicaragua, la cittadina di Greytown viene rasa al suolo con la motivazione pretestuosa di vendicare l’arresto abusivo di un cittadino statunitense.

Dal 1861 al 1865 la guerra si fa interna o civile che dir si voglia, con l’aggressione agli indiani del Nuovo Messico. La ribellione nel Minnesota dei Sioux viene liquidata in un bagno di sangue, nel 1864 il colonnello Chivington rade al suolo un villaggio Cheyenne a Sand Creek. Dal 1866 fino al massacro di Wounded Knee nel 1890 intere tribù di Sioux e Cheyenne vengono sottomesse (n.d.r.: in realtà domate, come adesso fanno solo i presentatori di spettacoli da circo con bestie “feroci”, noti come domatori) e confinate nelle “riserve”.

Nel 1898, il celebre attacco a Cuba, allora spagnola, con dichiarazione di guerra alla Spagna con il pretesto, inventato di sana pianta, dell’affondamento di una cannoniera americana. Questo di inventare pretesti diverrà poi un vizio caratteristico della politica estera USA, per esempio attacco a navi americane nel golfo del Tonchino per giustificare l’intervento in Vietnam, ricerca delle armi di distruzione di massa che non c’erano in Irak o tentativo fallito di attribuire l’uso di armi chimiche a Assad, per farne un altro. Dopo l’annientamento della flotta spagnola si annettono Puerto Rico e Filippine, così i cattivi spagnoli impareranno.

Una successiva ribellione dei filippini sarà domata, e non con le buone, in una guerra condotta dal 12.6.1898 fino al 4.7.1902.

Poco più di un mese dopo, il 12.8.1898, probabilmente per tenere in allenamento un esercito che costa un mucchio di soldi, vengono annesse le isole Hawaii, fino allora un regno indipendente, pacifico e praticamente indifeso.

Dal 1903 al 1940 è un succedersi di piccoli interventi militari in Honduras, Panama, Repubblica Domenicana, Kuba e Messico.
Gli interventi, per noi europei salvifici, nelle due guerre mondiali sono cosa troppo nota per venir qui rievocata. Lo stesso si dica di quelli in Corea, Vietnam, Kuweit, Irak, Balcani e Libia, per non parlare della guerra più lunga mai condotta dagli USA, quella cominciata nel 2001 contro i talebani afgani, guerra che sta concludendosi, e a nessuno, penso, può dispiacere, con una sonora e significativa sconfitta. Con disperati e vani tentativi di farla passare, la sconfitta, per onorevole, volontario ritiro da un paese rappacificato.

Caratteristica di tutte queste guerre aggressive americane è che furono quasi sempre iniziate con pretesti inventati, e sempre in assoluto dispregio dell’indipendenza altrui, del diritto internazionale (quella nebulosa e incerta massa di norme che viene appunto definita “diritto internazionale”, un jus cogens che viene servito in tavola quando occorre da chi così vuole. Anche il nostro Consiglio federale ne fa abbondante uso quando vuol respingere o indebolire iniziative popolari a lui sgradite) e delle decisioni di organizzazioni internazionali tipo ONU.

Una politica estera di aggressioni, quella americana, che non ha conosciuto correzioni dal 1783 a tutt’oggi, anzi che è divenuta sempre più arrogante e irriguardosa con l’accrescersi della potenza militare. Solo le annessioni di stati indipendenti e pacifici sul suolo nordamericano sono cessate, non per rinuncia volontaria, ma perché tutto quel che interessava annettere era già stato annesso.

Se prendiamo in considerazione anche l’altra stirpe anglosassone, quella della Gran Bretagna coloniale (Commonwealth) non possiamo non dare ragione a Alexej Jedrichin-Wandam, storico militare russo, che ci ha lasciato in eredità, quasi un secolo fa, una grandissima verità: “Di peggio dell’inimicizia degli anglosassoni c’è solo una cosa, la loro amicizia”. Formalmente un aforisma paradossale, quasi eccessivo, ma sostanzialmente realismo allo stato puro.

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Ahi la Repubblica vicina ed (ex?) amica!

9 dicembre 2013. Una dichiarazione alla tele di Attilio Befera, presidente di Equitalia e direttore dell’Agenzia delle Entrate: “In Italia evasione fiscale stimata ad almeno 130 mrd di euro all’anno. Un’anomalia indegna di un paese civile”. Lo crediamo, visto che lo dice lui, grande capo degli esattori d’italica matrice. Ma ci coglie il dubbio che il vero problema non sia l’evasione, ma il fatto che l’Italia non è più un paese civile.

Basta vedere quel che accade con i rifiuti, il loro smaltimento nel Sud Italia e i terreni della Campania avvelenati da migliaia di tonnellate di rifiuti tossici abusivamente deposti qua e là, neppure sotterrati, per rendersene conto. Idem per le costruzioni abusive, centinaia di migliaia, idem per l’evasione fiscale, idem per lo sport nazionale delle adulterazioni alimentari, idem per gli incredibili costi e abusi pensionistici di una classe politica corrotta fin nel midollo, nella capitale, nelle regioni, nelle province e fin nei comuni. Ma  fermiamoci qui.

Gianfranco Soldati