Per sperare di uscire dalla crisi, la Zona euro deve abbandonare la politica dell’austerità e ingaggiarsi in una politica di sostegno all’investimento. Per questo, la Germania deve praticare la solidarietà con gli altri paesi.

Tre anni fa scoppiava la crisi dell’euro e si deve essere un ottimista incallito per credere che il peggio sia passato.
Sottolineando che la recessione della Zona euro è terminata, alcuni osservatori concludono che l’austerità abbia dato dei buoni risultati. Ma andate a dirlo agli abitanti dei paesi che si trovano ancora in depressione, dove il Pil pro capite è inferiore a quello precedente il 2008 e il tasso di disoccupazione superiore al 20% (più del 50% fra i giovani).
Al ritmo attuale della “ripresa”, non ci si deve aspettare un ritorno a una situazione normale prima della metà o della fine del prossimo decennio.

Secondo un recente studio degli economisti della Federal Reserve, la banca centrale americana, la disoccupazione prolungata negli Stati Uniti inciderà sulla crescita del Pil nei prossimi anni.
Se è vero per gli Stati Uniti, lo è ancora di più per l’Europa, dove il tasso di disoccupazione è 1.7 volte più elevato.

Per uscirne, la Zona euro deve rapidamente intraprendere una riforma strutturale di fondo, che comporti le misure seguenti :

· Una vera unione bancaria con una supervisione, un’assicurazione dei depositi e un sistema di risoluzione delle crisi comuni a tutti gli Stati membri.
Senza questo, i capitali continueranno a fuggire dai paesi più deboli della Zona euro verso i paesi più forti.

· Una mutualizzazione del debito, ad esempio sottoforma di euro-obbligazioni : siccome il rapporto debito/Pil europeo è più debole di quello americano, la Zona euro può prendere a prestito a tassi d’interesse negativo, così come fanno negli Stati Uniti.
Tassi d’interesse bassi libererebbero i capitali per stimolare l’economia, rompendo il circolo vizioso dei paesi colpiti dalla crisi, dove le politiche di austerità rendono più pesante il fardello del debito.

· Una politica industriale che permetta ai paesi più deboli di recuperare il ritardo. Questo suppone la revisione delle attuali strutture che impediscono una simile politica, considerata come un intervento inaccettabile sui mercati.

· Una banca centrale che si preoccupi non solo dell’inflazione ma anche della crescita, della disoccupazione e della stabilità finanziaria.

· La sostituzione dell’austerità con il sostegno alla crescita che incoraggi l’investimento nel capitale umano, nella tecnologia e nelle infrastrutture.

La struttura stessa dell’euro è l’espressione delle dottrine neo-liberali dominanti al momento della concezione della moneta unica.
Allora si pensava che una debole inflazione fosse una condizione necessaria e sufficiente di crescita e stabilità, che l’indipendenza delle banche centrali fosse il solo modo di ancorare la fiducia nel sistema monetario, che un indebitamento e un deficit limitato avrebbero assicurato la convergenza economica degli Stati membri e che un mercato comune dove i capitali e le persone si sarebbero mossi liberamente sarebbe stato la garanzia di efficienza e stabilità.

Tutte queste idee si sono rivelate sbagliate. Malgrado la loro indipendenza, troppo focalizzate sull’inflazione e poco sul problema della fragilità finanziaria, prima della crisi la Federal Reserve e la Banca centrale europea hanno applicato misure meno pertinenti rispetto alle banche centrali di alcuni paesi emergenti.

Allo stesso modo, prima della crisi la Spagna e l’Irlanda avevano un’eccedenza di bilancio e il loro rapporto debito/Pil era basso. I deficit e il debito non hanno causato la crisi ma ne sono la conseguenza.
Per quanto riguarda le costrizioni di bilancio decise dall’Europa, non faciliteranno una ripresa rapida e non eviteranno una nuova crisi.

L’austerità non ha mai condotto alla prosperità. Storicamente, solo qualche piccolo paese è riuscito a evitare gli effetti deprimenti dell’austerità sull’economia intensificando le esportazioni per mantenere la domanda in un contesto di spese pubbliche in calo.
Ora, dal 2008 le esportazioni europee non sono aumentate (malgrado la diminuzione dei salari in paesi come Grecia e Italia). Con una crescita mondiale tanto mediocre, non sono certo le esportazioni che riporteranno la prosperità in Europa o in America.

Dando prova di un’inaccettabile mancanza di solidarietà fra paesi europei, la Germania e qualche altro paese del nord Europa hanno dichiarato che non metteranno mano al portamonete per aiutare i vicini spendaccioni del sud.
Questa posizione è nefasta. Innanzitutto l’emissione di euro-obbligazioni o qualsiasi altro meccanismo analogo verrebbe accompagnata da deboli tassi d’interesse, il che faciliterebbe la gestione del debito. Va anche ricordato che allo scoppio della Seconda Guerra mondiale gli Stati Uniti erano massicciamente indebitati, ma negli anni seguenti la loro crescita aveva battuto ogni record.

Se la Zona euro adottasse le misure suindicate, la Germania non dovrebbe pagare nulla. Ma a causa della perversa politica adottata dall’Europa, vi è stata una successione (inutile) di ristrutturazioni del debito e se la Germania e i suoi vicini del nord proseguiranno sulla stessa via, pagheranno anche loro un prezzo elevato.

L’euro doveva portare all’Europa crescita, prosperità e sentimento d’unità. Invece ha portato stagnazione, instabilità e divisioni.
Le cose potrebbero essere diverse. L’euro potrebbe essere salvato, ma i bei discorsi dovranno lasciare il posto a un impegno concreto. Se la Germania e gli altri non vogliono fare quello che è necessario – se la solidarietà è insufficiente per applicare la politica voluta – allora si dovrà forse abbandonare l’euro per salvare il progetto europeo.

(Fonte : Le Cercle.Les Echos.fr)