“Like father, like son”   Regia Hirokazu Kore-eda, Japan 2013
Al cinema Lux, Massagno (VO giapponese, sottotitoli francese e tedesco)


Sono single e non ho figli. Ma questo film avvincente e profondo penetra anche in chi, per scelta o per destino, non è genitore.

Perché tutti abbiamo avuto, in un modo o nell’altro, un papà e una mamma, o almeno un papà o una mamma. Anche per gli orfani: senz’altro qualcuno ha sostituito e creato “i genitori”. Così non c’è (fortunatamente) scampo al non riconoscersi in questo film (anche se non si hanno figli) meravigliosamente, deliziosamente, splendidamente straziante ma che, come le favole, finisce bene.

Chi è il padre di chi? Questa è la domanda. Uno scambio nella culla ma che si scopre solo quando i bambini hanno 6 anni e iniziano la scuola. Per ciò che ho detto all’inizio, nessuno sfugge alla domanda: “E se capitasse a me? Come reagirei?” La sceneggiatura (perfetta) del film ci permette di passare in rassegna tutte le risposte che ci potremmo dare. Ci sono tutte le sfaccettature di ragionamento. Tramite i personaggi del film si srotolano “giuste” risposte. Quelle dei due padri, le due madri, la nonna, i genitori dell’altro padre, i colleghi di lavoro e anche i legali del processo che cerca di trovare il colpevole di questo “incidente”.

Risposte tutte diverse e tutte esatte, tenuto conto di chi le dà.

Provate voi a rispondere alla domanda su come reagireste. Magari vi è facile, dal vostro punto di vista. Ma la risposta che date alla questione è quella giusta? Quella che darà la felicità e la possibilità di continuare il proprio discorso sulla “perfetta” genitorialità, sopratutto sull’essere padre o madre? Sul non pentirvi della scelta fatta? Dubito molto, solo lo scorrere della vita potrà dirvi, a posteriori, chi e se aveva ragione. Questa parte iniziale del film è gelata sullo scatto di una foto, in riva al fiume (panta rei, tutto scorre) dove entrambe le famiglie, per l’ultima volta, sono con i rispettivi figli.

Poi la chimica e la legislazione (DNA e sentenza) faranno prevalere la forza del legame di sangue. Le famiglie si mettono in posa, sorridendo (per forza),una sulla destra,una sulla sinistra, come due partiti che si nutrono della stessa Patria, Famiglia e Libertà. Ma con ideologie opposte.

Le due famiglie provengono da ben definite estrazioni sociali: l’operaio da una parte e il ricco borghese dall’altra. L’operaio che vive il ruolo di genitore con l’affetto e la leggerezza della complicità (gioca come un bambino). Il ricco borghese, tutto soldi, carriera e disciplina (il figlio deve studiare il pianoforte).

Sono due modi di vivere l’essere padre che si contrappongono. Entrambi non mancano di “dare dei consigli” all’altro. Ma già si capisce che è il ricco borghese che entrerà in crisi.

Le sue certezze di padre di famiglia “esemplare”, la sua scelta di valorizzare l’avere più dell’essere, la sua disciplina, la sua vena critica sulle scelte di vita del proprio padre, la tendenza a colpevolizzare gli altri. Di fronte alle reazioni del figlio, sia quello “naturale”, sia quello cresciuto “per sbaglio” e della dolcissima (ma criticata) moglie, sarà trasportato in un crescendo di “bastonate” dolorosissime alle quali non possiamo non partecipare, non riconoscerci, non soffrire con lui. Fino al suo pianto liberatorio e alla nostra (sospirata) consolazione.

Come dicevo, il film finisce bene e se ne esce con l’intima convinzione di voler essere migliori. Un film che non vi lascerà indifferenti. Dona quella calda sensazione di avere passato due ore (che volano!) di passione, ragione e amore, sentimenti universali che qui formano una storia indimenticabile con la tenerezza del bambino… e del lupo.

Desio Rivera