Il governo thailandese ha annunciato, martedì 21 gennaio, l’attuazione dello stato d’urgenza a Bangkok e nella sua regione periferica, per far fronte alle manifestazioni che da oltre due mesi chiedono le dimissioni del primo ministro Yingluck Shinawatra.
La misura, che darà maggior potere alle forze di sicurezza, durerà due mesi.
La decisione è stata presa dopo i violenti incidenti degli scorsi giorni. Dall’inizio della crisi, due mesi fa, nove persone sono state uccise e i feriti si contano a centinaia.
Il decreto che permette lo stato d’urgenza conferisce poteri supplementari alle forze di sicurezza, che potranno più facilmente operare degli arresti e perquisire le persone sospette.
Suthep Thaugsuban, uno dei leader degli oppositori al governo, ha promesso di continuare a manifestare nella capitale : “Faremo tutto quello che ci vieteranno di fare.”
Per tentare d’intensificare la pressione, settimana scorsa i manifestanti hanno lanciato un’operazione di paralisi a Bangkok, che però non ha avuto l’effetto sperato : forzare Yingluck a dare le dimissioni. La mobilitazione si era dispersa, anche se i manifestanti occupano ancora diverse arterie importanti della capitale.
I manifestanti, un’alleanza delle élites di Bangkok, di ultramonarchici e di abitanti del Sud, chiedono la testa del primo ministro e la fine di quello che chiamano “il sistema Thaksin”, dal nome di suo fratello, Thaksin Shinawatra, che associano a una corruzione generalizzata e che accusano di dirigere il paese dal suo esilio.
L’ex primo ministro era stato destituito nel 2006 a seguito di un colpo di Stato che aveva fatto piombare la Thailandia in una serie di crisi politiche, mettendo in luce le divisioni che esistono nel paese.
Per cercare di risolvere la crisi sono state indette elezioni legislative per il 2 febbraio, ma i manifestanti e il principale partito dell’opposizione non vogliono lo scrutinio, nel quale il partito al potere è favorito.