Qualunque sia il risultato immediato delle turbolenze che si propagano nei sistemi finanziari delle economie emergenti, queste rappresentano una svolta per l’economia mondiale.

Le radici della crisi si trovano nel Quantitative easing, nell’iniezione di migliaia di miliardi di dollari e di euro nel sistema finanziario mondiale da parte della Federal Reserve americana e delle altre banche centrali. Una pratica iniziata nel 2008 dopo il fallimento del colosso bancario americano Lehman Brothers.

L’essenziale di questi soldi è andato verso i mercati emergenti, nella ricerca di profitti più elevati con l’aumento del valore delle azioni e dei tassi sugli investimenti di altri valori finanziari in questi paesi.
Ora la bolla ha iniziato a sgonfiarsi e i capitali speculativi si precipitano verso l’uscita, facendo crollare i tassi di cambio.

Diverse banche centrali, fra cui quelle del Sud Africa, dell’India, del Brasile e della Turchia, hanno fortemente aumentato i tassi di interesse, ma queste azioni non sono ancora riuscite a ridurre la partenza dei capitali.

Neil Shearing, economista capo per i mercati emergenti presso Capital Economics, ha dichiarato al Financial Times : “Il fatto che le monete abbiano continuato a indebolirsi anche nei paesi che hanno aumentato i tassi d’interesse fa pensare che è in preparazione una nuova fase, potenzialmente più inquietante delle recenti turbolenze sui mercati finanziari emergenti. Pressati da ogni parte, gli attori politici non sono più in grado di difendere la loro moneta.”

I primi segni di una potenziale crisi erano apparsi in maggio e giugno del 2013, dopo che il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, aveva indicato che l’istituto avrebbe iniziato a ridurre il Quantitative easing, che si cifrava nella stampa di 85 miliardi di dollari al mese.
La dichiarazione di Bernanke aveva fatto tremare i paesi emergenti e si era assistito a una partenza di capitale.

Alcuni commentatori sostengono che queste turbolenze finanziarie riflettono i problemi specifici di taluni paesi e non hanno un’implicazione mondiale.
Secondo il Segretario americano al Tesoro Jack Lew, il problema principale è causato dalla pessima gestione politica : “Direi che constatiamo molte divergenze sui mercati e vediamo che i paesi che hanno avviato misure difficili e ne sono usciti bene hanno un’esperienza diversa.”

L’affermazione che gli attuali disordini sono il risultato dei problemi specifici di ogni paese non considera che il massiccio afflusso di capitali nei mercati emergenti dal 2008 al 2013 fa parte di una più vasta evoluzione.

La continua iniezione di liquidità da parte della Federal Reserve, che rappresenta circa 1’000 miliardi di dollari l’anno, combinata a tassi d’interesse vicini allo zero ha creato una situazione dove il sistema finanziario mondiale ha finito per assomigliare a una piramide rovesciata, con gli averi finanziari che si sviluppano rapidamente, confrontati alla base produttiva dell’economia mondiale da cui dipendono.

Ciò significa che gran parte di questi averi sono diventati tossici, che non hanno alcun valore reale, così come nel 2008 centinaia di miliardi di dollari di titoli ipotecari addossati a prestiti di seconda scelta (subprimes) si erano rivelati essere senza valore.
In altri termini, oggi ci sono tutti i segnali di una nuova crisi finanziaria, potenzialmente più distruttrice di quella del 2008.

Questo si può vedere nelle statistiche sulla vastità del movimento dei capitali finanziari volatili nel corso dell’ultimo periodo.
Dal 2005 i mercati emergenti avrebbero attirato circa 7’000 miliardi di dollari, investiti in un mix di imprese industriali e dei servizi, in fusioni e acquisizioni, così come in azioni e obbligazioni.
JPMorgan Chase ritiene che i rimborsi di obbligazioni che ancora devono essere pagati nei mercati emergenti rappresentano 10’000 miliardi di dollari, contro i 422 miliardi di dollari del 1993.

(Fonte : wsws.org)