Il web parla – con notevole competenza – dell’Ucraina. Questo post interessante, di Giandorico, commenta una corrispondenza di Fausto Biloslavo da Kiev per il Giornale.

 

“L’Ucraina russa non è una piccola enclave. Non si tratta solo della Crimea, ma dell’intera parte orientale e sud-orientale del Paese. Se avrà la ventura di percorrere le strade dell’Ucraina, potrà rendersi conto di quanto l’identità linguistica e culturale ucraina non sia percepita in posti importanti come Kharkov (vero centro economico del Paese, sede di alcuni dei più importanti combinat industriali dell’ex Unione Sovietica, ma anche, passato a parte, città dove ci sono, ora, più centri commerciali che a Milano e più gru in attività che probabilmente in una metropoli cinese), Dnepropetrovsk, Donesk, e cioè nelle provincie russificate, ma non russificate da Stalin o dai Comunisti, ma russificate dall’epoca degli zar.

 

La Crimea, in più, è proprio “russa”, popolata da genti russe e da Tatari musulmani. In questa metà del Paese la gente comune e anche quella “non comune”, come parte delle élites culturali, non si percepisce diversa dalla sorella Russia. Parlano russo e giudicano una imposizione incomprensibile, un poco stupida e un poco tanto irritante, l’obbligo di usare, nei documenti e negli atti pubblici, la lingua ucraina. Là, all’est, sono favorevoli al “nuovo corso”, solo alcuni intellettuali e alcune persone più facoltose che percepiscono l’Unione Europea, una volta che riuscissero ad avvicinarcisi, come il Paese di cuccagna.

 

Percorrendo la bella strada (nel senso paesaggistico) fra Kharkov e Kiev, l’ucraino compare come per incanto a Poltava (circa due ore e mezza d’auto a ovest di Kharkov), dove la gente, per tradizione storica e culturale, sente fino in fondo la propria appartenenza ucraina, e si fa un punto d’onore parlare solo ucraino. In una situazione del genere, una piazza dominata a Kiev dai nazionalisti e dai banderisti di L’viv (i seguaci di Stefan Bandera, il nazionalista che dopo l’ultima guerra animò la resistenza armata contro l’esercito sovietico nelle provincie occidentali del Paese, quelle ex-polacche), non può che trovare in posti come Kharkov o Sebastopoli la risposta dell’applauso alla comparsa dei carri armati russi e i presidi a difesa, ma pensa, delle statue di Lenin.

 

La cosa più onesta che potrebbero fare è sedersi tutti intorno a un tavolo per concordare una separazione consensuale o, al più, un federalismo assai leggero, che lasci le due parti come la Bosnia serba, quella musulmana e quella croata, di nome unite ma di fatto separate. Il comunismo in Russia, a differenza che da noi, è finito da quel po’. Putin è comunista quanto me, e io lo sono proprio poco, poco, poco … Qui in Ucraina la partita è solo fra potenze che si contendono un territorio di frontiera, e in questo gli appetiti di Putin non sono più forti di Merkel”.