Sono stato invitato (con altri) da Lorenzo Quadri a rispondere alla seguente domanda: “È giusto togliere la Sezione del lavoro alla consigliera di Stato Sadis, oppure è una provocazione?” Ho risposto, ieri sul Mattino, così:


Schematizzo il mio pensiero in 6 punti.

  1. La Lega continua magistralmente a sfruttare il malcontento popolare e la congiuntura precaria. Ecco (secondo me) la chiave del suo successo.
  2. A questo punto c’è la linea-Caffè che consiste nel dire: “La situazione è sostanzialmente normale, la disoccupazione è stata in passato addirittura più alta, la crisi viene enfatizzata ad arte, in sostanza viene inventata a fini politici”. È una linea, senza offesa, imbecille.
  3. C’è poi la linea-Sadis che consiste nel dire: “Non si può far niente”. Mi sembra una linea infelice e perdente, fosse solo perché chiunque pensa che la signora non voglia far niente. È fatale e automatico.
  4. I continui attacchi del Mattino alla consigliera di Stato in un certo senso mi fanno dispiacere perché assumono ai miei occhi un aspetto quasi “persecutorio”. Ma riconosco che il suo atteggiamento esageratamente passivo facilita e in un certo senso “giustifica” questi attacchi. Io tuttavia nella materia non penso di essere buon giudice, perché l’ho sempre vista come eletta contro qualcuno, e non realmente per se stessa. In 7 anni il mio feeling non è mutato. Ritengo dunque di essere prevenuto e privo della necessaria imparzialità.
  5. Secondo me non è giusto scindere la responsabilità dell’on. Sadis da quella del suo partito che il 9 febbraio – lo riconosca o meno – ha subito un ennesimo duro colpo. Ha obbedito, certo, a ordini superiori ma ha anche offerto un’impressione di insensibilità che potrà costargli molto cara.
  6. Per finire, la richiesta presentata alla direttrice del DFE è certissimamente una provocazione in puro stile leghista. Essa tuttavia è accompagnata da una serie di ragioni, che il cittadino stesso saprà valutare.


    NOTA.  Il giorno stesso (cioè ieri, domenica 16 marzo, e non è certo un caso) l’on. Sadis reagiva alla provocazione leghista (ho esplicitamente scritto che lo è) concedendo un’ampia intervista al Caffè. Non è certo un caso, è anzi estremamente significativo che la direttrice del DFE – presa di mira senza sosta e in modi invero abbastanza spietati – non trovi di meglio che andare a piangere sulla spalla del Lillo (il quale ben volentieri la presta).

    Il contenuto dell’intervista è, a dir poco, deludente. “Che desolazione questa politica!” esclama Laura, depressa. E perché? Per la “deriva populista”, per i modi inurbani, le aggressioni verbali, i proclami urlati, la superficialità… Io direi un’altra cosa, alquanto diversa (che il Caffè non mi pubblicherebbe mai, non che io ci tenga). Perché è cessata l’obbedienza supina a un’autorità (e a un potere) che si voleva (ed era) indiscussa e indiscutibile. Si è infranto un vincolo di sudditanza (non sarò io a versar lacrime per questo) e ciò non poteva avvenire senza qualche piccolo trauma.

    La signora, stranamente, non si rende conto che è stata proprio l’arroganza – così ben espressa da un senso di  superiore “intangibilità”, unito a una smodata fregola per il “politicamente corretto” – a suonare la campana a morto del Vecchio Potere. Nonostante gli innumerevoli disastri avvenuti – lei che è chiamata ironicamente “contabile” s’ingegni a quantificare il danno subìto dal suo partito in parecchi dolorosi anni – ancora si riesce a non capire.

    Prendiamo un esempio, il più clamoroso e il più recente: il voto sullo “Stop all’immigrazione di massa”. Esito “populista” quant’altri mai. Bècero, razzista, intollerabile. Per fortuna gli elettori del PLR hanno votato tutti bene (in particolare, i membri del Comitato cantonale, bene per due volte di fila). Lei, signora governante, “regna” (con altri 4) su un 68,3 % di ottusi, illusi populisti ignoranti. È veramente dura, lo so, e perciò la compiango. Ma lei questo calvario se lo è scelto liberamente, sette anni fa.