Dal blog www.pietroichino.it riprendiamo questa gustosissima sentenza di 130 anni fa…

Estratto dalla motivazione della sentenza della Corte d’Appello di Torino 11 novembre 1883 che ha annullato l’iscrizione all’Albo degli Avvocati e Procuratori della dott.  Lidia Poet, laureata in Giurisprudenza nel 1881, prima donna avvocato (ma per breve periodo). In Italia le donne sono state ammesse per legge alla professione forense solo nel 1919, alla magistratura solo nel 1963.

SENTENZA 11 NOVEMBRE 1883 DELLA CORTE D’APPELLO DI TORINO

[…] La questione sta tutta in veder se le donne possano o non possano essere ammesse all’esercizio dell’avvocheria (sic) […]. Ponderando attentamente la lettera e lo spirito di tutte quelle leggi che possono aver rapporto con la questione in esame, ne risulta evidente esser stato sempre nel concetto del legislatore che l’avvocheria fosse un ufficio esercibile soltanto da maschi e nel quale non dovevano punto immischiarsi le femmine […].

Vale oggi ugualmente come allora valeva, imperocché oggi del pari sarebbe disdicevole e brutto veder le donne discendere nella forense palestra, agitarsi in mezzo allo strepito dei pubblici giudizi, accalorarsi in discussioni che facilmente trasmodano, e nelle quali anche, loro malgrado, potrebbero esser tratte oltre ai limiti che al sesso più gentile si conviene di osservare: costrette talvolta a trattare ex professo argomenti dei quali le buone regole della vita civile  interdicono agli stessi uomini di fare motto alla presenza di donne oneste. Considerato che dopo il fin qui detto non occorre nemmeno di accennare al rischio cui andrebbe incontro la serietà dei giudizi se, per non dir d’altro, si vedessero talvolta la toga o il tocco dell’avvocato sovrapposti ad abbigliamenti strani e bizzarri, che non di rado la moda impone alle donne, e ad acconciature non meno bizzarre; come non occorre neppure far cenno del pericolo gravissimo a cui rimarrebbe esposta la magistratura di essere fatta più che mai segno agli strali del sospetto e della calunnia ogni qual volta la bilancia della giustizia piegasse in favore della parte per la quale ha perorato un’avvocatessa leggiadra (!!!) […].

Non è questo il momento, né il luogo di impegnarsi in discussioni accademiche, di esaminare se e quanto il progresso dei tempi possa reclamare che la donna sia in tutto eguagliata all’uomo, sicché a lei si dischiuda l’adito a tutte le carriere, a tutti gli uffici che finora sono stati propri soltanto dell’uomo. Di ciò potranno occuparsi i legislatori, di ciò potranno occuparsi le donne, le quali avranno pure a riflettere se sarebbe veramente un progresso e una conquista per loro quello di poter mettersi in concorrenza con gli uomini, di andarsene confuse fra essi, di divenirne le uguali anziché le compagne, siccome la provvidenza le ha destinate. […]