Pubblicato nel Giornale del Popolo, ripresentato con il consenso dell’Autore.

Non passa giorno che si parli di qualche malefatta, spreco o scandalo politico, anche nostrano cantonale e comunale. Ad incuriosire è che la naturale indignazione pubblica sfoci quasi sempre nell’appello che, se ci fossero le giuste persone, tutto ciò non accadrebbe.

Purtroppo, ci sono buone ragioni per credere che la realtà sia ben più complessa. Nei sistemi democratici, compresi i Comuni svizzeri, il ricambio di persone sarebbe già oggi più che sufficiente a far cambiare, prima o poi, le cose. La persistenza della malagestione statale, che aumenta di pari passo con la dimensione della giurisdizione (lo si vede bene nei confronti internazionali), dovrebbe invece lasciar supporre che il problema non siano le persone (politici e funzionari), bensì lo Stato stesso. Ciò che impedisce questa logica constatazione è il mito che lo Stato sia indispensabile e che esso, malgrado i suoi palesi limiti e difetti, vada aggiustato e perfezionato. Una ricerca della perfezione che, guarda caso, spiana la strada a più regolamentazione, più tassazione, e ancor più discrezione statale nelle nostre vite.

Se lo Stato è il problema, non è di certo aumentandone la portata che miglioriamo la società. Tanto più che, guarda caso, ogni settore in cui lo Stato mette le mani prima o poi s’ingrippa: la giustizia è troppo lenta, le strade intasate, il consumo d’energia esagerato, i rifiuti sproporzionati. L’assurdità di tali realtà salta all’occhio non appena si osserva che, nel mercato, qualsiasi offerente si rallegra di aver più clienti e subito si adopera per offrire maggiori quantità della prestazione a prezzi minori e con maggior comodità per il consumatore. Al contrario, quando aumentano i fruitori di prestazioni statali, questi vengono di norma colpevolizzati, se non multati.

Bruno Leoni aveva messo a fuoco molto bene una delle incoerenze fondamentali delle moderne socialdemocrazie (delle quali purtroppo la Svizzera fa a tutti gli effetti parte): da una parte si pretende più rappresentanza politica dei cittadini, ma parallelamente vige l’aspettativa (irrealistica) di politici carismatici che sappiano che cosa serva ai cittadini. Sarebbe invece ben più coerente lasciar operare liberamente i cittadini nel mercato e depoliticizzare la società.

Lo Stato moderno, un’agenzia che detiene il monopolio della giustizia e della produzione legale, finanziata sottraendo quotidianamente risorse ai cittadini attraverso la leva fiscale, è in realtà un prodotto ideologico. Esso può esistere solo fintanto che le persone credono nella sua indispensabilità. Le persone però possono cambiare opinione molto rapidamente e terminare sistemi fino a poco prima scontati, si pensi alla Riforma o al crollo del comunismo sovietico.

Oggi, l’estrema tassazione e regolamentazione propria degli Stati occidentali, che affogano nei debiti, sta tenendo sulla strada più del 20% dei giovani. Questi, nel pieno delle forze, con gli ormoni a mille, disoccupati e senza grandi aspettative, potrebbero ben presto prendersi in mano il loro futuro. Se capiranno la natura del problema, possiamo aspettarci una nuova Rivoluzione americana e l’inizio di un’era di prosperità. Al contrario, si aggira su di noi lo spettro del Terrore giacobino.

Paolo Pamini economista, ETHZ e Istituto Liberale