* Giurista, articolo pubblicato sul Corriere del Ticino del 28 aprile 2014

Enrica e Stelio xEnrica  Pesciallo con il marito Stelio

Il prossimo 18 maggio saremo chiamati a votare sull’introduzione di un nuovo Titolo Vbis nella Costituzione cantonale comprendente due nuovi articoli dedicati al regime finanziario.

L’art. 34bis introduce i principi generali della gestione finanziaria dello Stato: il principio della legalità, della parsimonia e dell’economicità; le finanze devono essere equilibrate a medio termine, tenuto conto dell’evoluzione economica; prima di assumere un nuovo compito, il Cantone ne esamina la sopportabilità finanziaria e le modalità di finanziamento; ogni compito deve essere valutato periodicamente al fine di verificare se è ancora necessario e utile e se il carico che comporta è sopportabile.

L’art. 34ter, intitolato “Freno ai disavanzi: principi e misure di riequilibrio finanziario”, afferma invece che si possono preventivare disavanzi entro determinati limiti, da compensare con precedenti avanzi o mediante riduzione di spese o aumento dei ricavi tramite l’inserimento del coefficiente di imposta cantonale.

Interessante osservare che quanto sopra è più o meno con le stesse parole già presente nella Legge sulla gestione e sul controllo finanziario dello Stato del 1986, la quale dall’art. 2 precisa i principi di gestione finanziaria: principio della legalità; dell’equilibrio finanziario; della parsimonia; dell’economicità; della causalità; della compensazione dei vantaggi; del divieto del vincolo delle imposte principali.

Leggendo questi principi, che all’elettore non vengono presentati nell’opuscolo informativo in quanto ritenuti noti, e che nei rapporti vengono invece definiti nuovi, viene spontaneo chiedersi: ma come? Dobbiamo mettere nella Costituzione una serie di principi che il popolo ha già accettato nella legge? Dobbiamo forse credere che i nostri politici, che sulla base della legge esistente non sono riusciti a portare avanti una politica di equilibrio finanziario, di gestione delle risorse parsimoniosa, basata sull’economicità, persino avvantaggiata dalla possibilità di caricare oneri a chi causa determinate spese o a chi esce avvantaggiato da determinati interventi legislativi, questi stessi politici riusciranno tutt’a un tratto a farlo solo perché gli stessi principi cambiano sede ed aumentano di grado passando dalla legge alla Costituzione?

L’impressione che ne ricaviamo è tutt’altra. I nostri politici in questi ultimi anni non sono mai riusciti ad accordarsi su alcunché di parsimonioso. Ed essendo ormai al tracollo, ecco la pillola miracolosa: ci vengono propinati come nuovi i vecchi principi mai osservati, con l’aggiunta di un tocco di novità, ossia l’introduzione di un coefficiente cantonale di imposta, sul quale modificare anno per anno a piacimento il moltiplicatore d’imposta dei cittadini. Per i cittadini è già ora difficile poter calcolare quante imposte pagare al Comune, che può adattare il moltiplicatore a piacimento; in futuro tale sorpresa resterebbe aperta anche per l’imposta cantonale, in barba a qualsiasi principio di sicurezza del diritto.

che il metodo del freno al disavanzo che ci si vuole propinare non avrà che un effetto indiretto sul freno alla spesa. Leggete bene: “Tale influenza è indiretta nella misura in cui è determinata dalle preferenze dei cittadini. La teoria delle scelte pubbliche parla di un vincolo che determina la “taglia desiderata dello Stato”. L’obiettivo non è il “meno Stato”, ma lo Stato desiderato dai cittadini, tenuto conto delle risorse che intendono consacrarvi”. Questo, letto in parole povere, significa: noi politici possiamo continuare a spendere, trascurando i principi di una sana gestione finanziaria, come abbiamo sempre fatto, solo che ora quando scialacqueremo, o quando non sapremo deciderci sulle priorità di risparmio, il popolo dirà la sua: accetta di pagare, ebbene allora si spenda allegramente; non accetta, verranno studiate altre misure di risparmio, anch’esse sottoposte a referendum.

Il metodo ricorda tanto Ponzio Pilato, che non sapendo che cosa decidere passò la “patata bollente” al popolo. Questa misura non ha però niente di economico: portare tutti gli anni il popolo a votare contro il moltiplicatore cantonale o contro tagli alle spese ricorrenti o freni a nuove spese significa accollare al popolo un sacco di ulteriori costi sia per le organizzazioni dei referendum, sia per la loro realizzazione che, seppur pagata dall’ente pubblico, ricade sulle spalle dei contribuenti. Tanto varrebbe attribuire il potere legislativo direttamente al popolo.

Il moltiplicatore di imposta cantonale è l’atto estremo del lavarsi le mani di fronte all’incapacità di gestire le finanze pubbliche, e nonostante ora molti alzino i toni invitando ad approvarlo come se fosse uno spauracchio per i politici, la realtà è che esso è per loro un’uscita sul retro da una situazione indecorosa di incapacità decisionale.

Enrica Pesciallo