SI VIS PACEM PARA BELLUM, ci dice Giorgio Ghiringhelli in questo interessante articolo. La pensiamo anche noi così! (fdm)

Alla vigilia della votazione federale concernente l’acquisto di 22 aerei da combattimento del tipo Gripen sono andato a rileggermi alcune pagine del libro “La Svizzera in guerra : 1933-1945” di Werner Rings, scrittore e giornalista che una quarantina di anni fa ebbi il piacere di conoscere nella sua abitazione di Brissago. Nei capitoli iniziali del libro si ricostruisce l’atmosfera politica e sociale in Svizzera a cavallo fra la fine della prima guerra mondiale, quando molti pensavano che ormai non ci sarebbero più state altre guerre, e lo scoppio della seconda. C’è un capitolo dedicato alla “sinistra antimilitarista”, in cui si spiega che l’impiego dell’esercito in varie occasioni contro gli operai in sciopero aveva alimentato la diffidenza dei socialisti nei confronti dell’esercito, a tal punto da far ritenere più giustificato che mai il boicottaggio della difesa nazionale. “L’atteggiamento socialista – scrive l’autore – corrispondeva a un pacifismo umanitario che era allora estremamente diffuso (…). Agli occhi dei pacifisti, l’opposizione all’esercito rappresentava un obbligo morale che doveva precedere qualsiasi decisione politica. E questo per la sinistra – finché mantenne questo atteggiamento – fu prima di tutto un problema di coscienza, prima che un principio politico”.

Ma verso gli inizi degli anni ’30 , quando fu chiaro che l’avvento al potere di Hitler in Germania poteva costituire un pericolo anche per la Svizzera, il vento cominciò a cambiare e “fu solo nel 1935 che il partito socialista prese la decisione di accettare, con riserva, il principio della difesa nazionale”. Però a quel momento le forze di difesa elvetiche “ si trovavano in tristi condizioni” perché “negli ultimi anni prima del conflitto nessuno si era dato da fare per fornire all’esercito un armamento idoneo” e la responsabilità di questo stato di cose era da ricercarsi secondo Rings “nel desiderio di pace della popolazione, nella riluttanza del Parlamento e nella crisi economica che aveva imposto altri compiti improrogabili”. Solo a partire dal 1936 si corse ai ripari per rafforzare l’esercito e per potenziare l’aviazione , ad esempio lanciando fra la popolazione un prestito per la difesa nazionale che permise di raccogliere circa 300 milioni di franchi , ma ormai “il tempo a disposizione era scarso, troppo scarso”.

L’insegnamento che dovremmo trarre da quegli avvenimenti è che se si vuol essere pronti a difendersi efficacemente in caso di guerra bisogna cominciare a pensarci in tempo di pace . Ma ho l’impressione che degli errori del passato non tutti abbiano fatto tesoro, e che la storia si stia ripetendo. Anche oggi v’è chi , più o meno in buona fede, non ritiene possibile che la Svizzera e l’Europa possano essere coinvolte in una nuova guerra, e che in nome di un pacifismo umanitario o con pretesti di tipo economico vorrebbe eliminare o indebolire l’esercito, ad esempio opponendosi all’ammodernamento dell’aviazione militare. Ma siamo così sicuri di essere al riparo da qualsiasi minaccia bellica ? Chi può garantire oggi che la crisi fra la Russia e l’Ucraina non darà avvio a un’altra guerra mondiale ? Chi può garantire che l’Unione europea non si disgregherà a seguito dei problemi di immigrazione, criminalità e crisi economica che stanno facendo riaffiorare i nazionalismi e che sotto la spinta di milioni di giovani disoccupati che non hanno più nulla da perdere, e anche per questo sono desiderosi di “menar le mani”, potrebbero sfociare in qualche guerra o rivoluzione dalle conseguenze pericolose per il nostro Paese ?

Non so se i Gripen siano gli aerei più adatti per l’aviazione militare svizzera, né se il loro prezzo sia o meno il più vantaggioso. Ma so che in questo periodo storico è meglio non rischiare di ritrovarsi impreparati, come accadde ai nostri nonni alla vigilia della seconda guerra mondiale . E so anche che in caso di pericoli ai nostri confini non saranno certo gli avversari dei Gripen, gli antimilitaristi ed i pacifisti a proteggerci : anzi probabilmente sarebbero proprio loro i primi a chiedere la protezione dell’esercito, ma ahinoi troppo tardi.

Se Max Weber, consigliere federale dal 1951 al 1953, fosse ancora vivo, sarebbe il primo a pensarla così. Al suo emblematico caso Werner Rings ha dedicato un capitolo del suo libro, raccontando il “voltafaccia” di questo socialista che alla fine della prima guerra mondiale aderì ai movimenti pacifisti, rifiutandosi di prestare servizio militare e subendo la condanna a una pena detentiva. Ma quando, nel 1933, Hitler assunse il potere , Weber decise che non era più possibile opporsi a un esercito che avrebbe difeso il suo paese contro un’aggressione nazional-socialista, e prendendo la parola davanti al congresso dell’Unione sindacale svizzera, di cui era uno dei dirigenti , ammise che la guerra non poteva essere evitata fintanto che qualche paese si armava per farla, e da lì in poi si impegnò a fare campagna per la difesa nazionale. “Allo scoppio della seconda guerra mondiale – annota Rings – l’ex-obiettore di coscienza chiese al generale di essere ammesso nell’esercito (…) ma la sua richiesta venne respinta”. E così nel maggio del 1940 “Weber decise di fare da solo : comperò un fucile, l’ultimo che potè ancora trovare a Berna, e si fece arruolare nella guardia territoriale del suo comune. Tollerato di malavoglia dal comando dell’esercito, Weber prestò servizio fino alla fine della guerra, poi si portò a casa il suo fucile, un modello 1911”.

Giorgio Ghiringhelli, fondatore del movimento “Il Guastafeste”