La pagina Facebook “Io sto con Bertoli” è attiva e APERTA (ma i cattivi, gli imbecilli e i bèceri ne sono esclusi). Che cosa pensino di ottenere questi (ben noti) gestori della pagina con simili mezzi, non è dato sapere. Di primo acchito io direi: creare il salotto dei “socialisti offesi”. Un “bècero” vi si troverebbe certamente a disagio, ma il problema non si pone, visto che non vi sarebbe mai ammesso.

Ritengo, oggi più che mai, che Bertoli abbia commesso un grossolano abuso. L’ha fatto volontariamente e l’ha fatto per provocare. Le reazioni al suo abuso sono state vivaci, talvolta dure, e persino la mia pronipotina di soli otto anni sarebbe stata in grado di prevederlo. Ma forse era proprio quello che lui voleva: per avere l’occasione – ammantandosi nei panni del “buono” – di fustigare i “cattivi”  (tendenzialmente leghisti, così pensa lui). “La gente scema e malvagia non ci vota più!” Questo pensano, desolati, nel salotto dei socialisti. Per fortuna, dico io. (fdm)

Ottimo pezzo – pulito, serio, convincente – del socialista (ex) Sergio Savoia. Dal blog www.sergiosavoia.ch. Titolo originale “Con chi sta Bertoli”.

 

[…] Nell’intervista, intitolata “Non intendo starmene zitto” (come se qualcuno gli avesse chiesto tanto) Bertoli opera una serie di spregiudicate manovre dialettiche per cercare di spostare il discorso su un terreno che gli permettesse di rifarsi dalla pesantissima gaffe istituzionale del 1° agosto. In pratica, l’ex presidente del PS e attuale presidente del governo nell’intervista dice un paio di cose, al di là della fuffa e del politichese:

  1. Ho il diritto di dire la mia opinione anche se sono presidente del governo;
  2. In questo paese abbiamo votato parecchie volte, ad esempio su casse malati e altri temi, quindi non vedo cosa ci sia di male a rivotare sul 9 febbraio.

Sembrerebbe buon senso. Non lo è, come vedremo… Cominciamo dall’argomento numero 2. Quando Bertoli dice che “sulla Cassa malati unica è la terza volta che andremo a votare in dieci anni”, dimentica di aggiungere che andiamo a votare perché qualcuno ha raccolto le firme. Se Bertoli ritiene che il risultato del 9 febbraio non vada bene (lo ritiene quasi il 50% della popolazione svizzera e circa il 30% di quella ticinese) promuova una raccolta di firme e ci porti di nuovo al voto. Non c’è bisogno di “correggere la democrazia diretta”, basta usarla.

Nel frattempo però c’è un articolo costituzionale votato dal popolo. Di conseguenza la prima preoccupazione di un presidente di governo di un cantone in cui il 70% della popolazione ha votato sì alla modifica costituzionale dev’essere come implementare quella decisione, non come evitare di farlo. Intanto Bertoli parla di “un nuovo voto che confermi o meno la scelta”. Perché mai ci sarebbe bisogno di confermare una scelta popolare? Cos’è? Una nuova prassi? Il voto del 9 febbraio è chiaro, pur se di misura a livello federale (chiarissimo e abbondante in Ticino). Non si può “rivotare”. Tutt’al più si può votare su un altro oggetto, con una formulazione chiara. E nel caso in cui il voto popolare sul secondo oggetto contraddica il primo, avremo più problemi non meno.

E qui arriviamo all’argomento numero 1 (“non intendo starmene zitto”) Se Bertoli fa finta di non capire che, da presidente del Consiglio di Stato, non può dire certe cose, è un problema suo. Immaginiamo cosa avrebbero detto i socialisti se una Masoni presidente del Consiglio di Stato avesse fatto un discorso del 1° agosto proponendo di rivotare che so? sull’assicurazione maternità. O se un Norman Gobbi, presidente del governo, avesse fatto la stessa cosa chiedendo di rivotare sui Gripen, per esempio. Tutti i socialisti del cantone sarebbero saliti sulle barricate, strappandosi vesti e capelli. E io avrei fatto la stessa cosa (tranne i capelli) per lo stesso motivo, indipendentemente dall’argomento: cioè il rispetto del voto popolare da parte delle autorità dello stato. Se Bertoli non se la sente di sostenere le posizioni del 70% del popolo ticinese in pubblico in quanto presidente del governo (è legittimo) ha tre possibilità:

1 – parlare di altri argomenti (ce n’è in abbondanza) 2 – non fare discorsi (sopravvivremo) 3 – lasciar fare il presidente del governo a uno qualsiasi dei suoi quattro colleghi

Che lui abbia il diritto alla sua opinione è un fatto scontato. Ribadirlo come ha fatto Bertoli non è che trucchetto dialettico a buon mercato. Il problema non è che lui abbia un’opinione in merito al tema del 9 febbraio. Tutti la conosciamo: essa non necessita di essere ribadita. Il problema è che lui parla da presidente del governo, il 1° agosto, in veste ufficiale, con tanto di usciere dello Stato in alta uniforme. Ecco, in quel caso lì, Bertoli non deve dirci la sua opinione, specialmente se serve sottilmente a delegittimare il voto. Smettiamola di far finta che si tratti di un problema di libera espressione. Chiunque sia stato anche solo presidente di una bocciofila, sa che al discorso più importante dell’anno il presidente deve parlare a nome di tutti i membri della bocciofila medesima, non solo per gli amici suoi. Allora non è “io sto con Bertoli” il tema. Il tema è: “Con chi sta Bertoli?”. Ebbene, quando fa il presidente del governo, Bertoli deve stare con i ticinesi tutti*** e rappresentarli tutti, non solo il 30% che ha votato come voleva lui.

Sergio Savoia

*** pio auspicio dell’on. Sergio Savoia