È imminente l’inizio della IV edizione di PIAZZAPAROLA, giovane ma già affermato evento letterario (Lugano, 4-5 settembre, Locarno 12 settembre). Ne parliamo con il professor Gilberto Isella, poeta, saggista, critico letterario e, per molti anni, apprezzatissimo docente in vari ordini di scuola. Isella è membro del Comitato scientifico di Piazzaparola.

Nell’intervista mi rivolgo a Gilberto usando il “lei”, ciò che mi suona un po’ innaturale, visto che così a lungo siamo stati colleghi d’istituto a Lugano 1. Tante discussioni… e raramente d’accordo! Un’intervista di Francesco De Maria.

Isella

Francesco De Maria  Piazzaparola”. Quando nasce, chi la organizza e chi la sostiene?

Gilberto Isella   Il Festival Piazzaparola è nato a Lugano nell’autunno 2011, in occasione del 30° di rifondazione della Società Dante Alighieri di Lugano, e si svolge sull’arco di due giorni nel patio del Municipio. Promotrice ne è stata la Prof.sa Raffaella Castagnola, presidente di quella Società. Visto il successo della prima edizione, abbiamo pensato bene di continuare. Si è presto formato un comitato scientifico, di cui faccio parte, responsabile dei contenuti e dell’organizzazione. Piazzaparola è sostenuta finanziariamente dal Municipio luganese (con parsimonia, visti i tempi) e da alcuni sponsor privati. Saremmo ben felici di trovarne altri.

Qual è l’idea centrale in questa manifestazione culturale?

GI   È una rassegna letteraria che mette al centro la prosa. Sia la prosa narrativa (che fa ovviamente la parte del leone), sia quella critica, storiografica o concernente temi di varia umanità (in un’edizione, ad esempio, si è parlato di numismatica). Una mattinata è poi riservata alla letteratura per l’infanzia: allievi delle elementari ascoltano letture di autori specializzati in questo campo, guardano le illustrazioni ad esse collegate e si lasciano coinvolgere da ritmi e melodie. Per loro è un’occasione imperdibile di apprendimento e svago. Vista la sua impostazione programmatica, orientata come dicevo verso le produzioni in prosa, Piazzaparola non ha concorrenti a Lugano. A occuparsi di poesia, infatti, è il Festival Poestate.

Dante, Omero, Boccaccio. Quest’anno Leonardo, se uno non è grandissimo non lo prendete. In che modo il da Vinci ispirerà/condizionerà l’evento?

GI   Vorrei ricordare il sottotitolo del Festival: “L’arte di raccontare – Un classico e voci contemporanee”. Proponiamo dunque autori la cui opera, in un modo o nell’altro, si ricolleghi (se non proprio s’ispiri) al classico del momento. I classici, come Omero o Dante, sono autori la cui autorevolezza-universalità è fuori discussione. Autori che hanno lasciato un segno forte e forse indelebile nella nostra civiltà. Scarsi sono infatti gli scrittori contemporanei che in un modo o nell’altro non facciano riferimento a loro (vedi, per citare un solo caso, Joyce e il suo Ulysses, geniale ripensamento dell’Odissea). Leonardo, conosciuto soprattutto come artista, scienziato, ideatore di macchine e altro, è stato anche un prosatore notevolissimo. Nel suo variegato italiano quattrocentesco, questo “homo sanza lettere” (digiuno dunque di latino ma senza vergognarsene, almeno così egli lascia credere) ci ha trasmesso facezie, allegorie, favole di animali e numerosissime descrizioni di fenomeni naturali. Occorre veramente rileggerlo (anche per capire meglio la sua opera artistica) e questa edizione di Piazzaparola è un’occasione per farlo.

Che cosa pensa il poeta Isella di fronte al gigantesco Leonardo?

GI   Potrei scrivere un saggio al riguardo, ma sarò conciso. Per me Leonardo è il navigatore che affronta il mare sterminato dell’incognito, lo sperimentatore ardito che fa dell’esperienza (a prescindere dagli ostacoli sul cammino) il fulcro del conoscere e, di conseguenza, il mezzo più idoneo a mettere in luce le leggi occulte della natura : “La esperienza non falla mai, ma sol fallano i nostri giudizi”. La vocazione interdisciplinare ante litteram è ciò che più mi affascina in lui. Leonardo rifiuta l’artificiosa contrapposizione tra sapere umanistico e sapere scientifico, ponendo tra l’altro le condizioni per gustare la bellezza delle leggi naturali (si vedano le sue ricerche anatomiche e fisiognomiche applicate alla pittura) o di una semplice proposizione matematica. Perché un assioma o un teorema non può essere, oltre che verace, elegante e formalmente avvincente? In pieno Novecento, qualcuno ricorda, il tedesco Enzensberger mise in versi il teorema di incompletezza di Gödel. Anch’io, si parva licet, nel mio laboratorio poetico mi sento uno sperimentatore a tutto campo. Rifuggo dall’intimismo postromantico, dal frugare a vuoto nel mio vissuto (che interesserebbe a poca gente, immagino). Preferisco interrogarmi poeticamente sui nessi talvolta enigmatici che esistono tra alcuni campi dello scibile, e allo stesso tempo (ma non v’è contraddizione, a guardar bene) sull’invisibile diaframma che separa il Qui immanente dal Lassù trascendente. E me ne assumo tutte le ingenti responsabilità, col rischio di perdermi in una nuova “selva oscura”.

Quali sono i vostri relatori di maggior richiamo?

GI   Se ne contano parecchi quest’anno. Sono costretto, per motivi di spazio, a citarne solo alcuni e mi dispiace. Ricordo che Piazzaparola, per favorire il dialogo e la conoscenza reciproca, invita scrittori svizzeri ed esteri, quest’ultimi preferibilmente di lingua italiana. Vorrei segnalare, per gli svizzeri, Adolf Muschg, autore di brillanti romanzi e racconti, alcuni dei quali sono tradotti in italiano. Ricordo al proposito Storie d’amore, per l’editore milanese Marcos y Marcos. Un’altra figura di primo piano è quella di Ilma Rakusa, un’elvetica di origine ungherese, narratrice, poetessa e collaboratrice della “Neue Zürcher Zeitung”. Ma non va dimenticato il ginevrino Philippe Ramy. Tra gli italiani, mi limito a fare il nome del triestino Claudio Zanini, forse il più vicino alla tematica scelta quest’anno, autore del romanzo La scimmia matematica, i cui personaggi decidono di partecipare …nientemeno che a un concorso sulla quadratura del cerchio. Ma invito tutti a leggere il programma, senza pregiudizi classificatori. Le piccole schede biografiche annesse, del resto, parlano chiaro. Non sottovalutiamo poi l’apporto dei musicisti (quest’anno Oliviero Giovannoni e Luciano Zampar), esecutori di accompagnamenti strumentali sempre graditi dal pubblico.

Leonardo da Vinci era autore di favole, quante persone lo sanno? Ci illustri brevemente una favola di Leonardo.

GI   Purtroppo è meno nota l’attività creativa di Leonardo nel settore letterario, e questo anche per colpa dei programmi scolastici, che ne sottovalutano l’importanza (medesima osservazione per Galileo scrittore). Le favole leonardiane, che risentono dell’influenza dei bestiari medievali ma li battono in sottigliezza e modernità, hanno una coloritura più o meno scopertamente allegorica, accennando ai vizi e alla virtù dell’uomo. Ho l’imbarazzo della scelta. Una delle più sorprendenti, per il suo sapore edipico e il tono anticonformistico, riguarda il colombo. Altro che contrassegno dell’amore o della pace! Questo uccello è piuttosto il simbolo dell’ingratitudine e della sfrenatezza sessuale. Dopo esser stato svezzato, dice Leonardo, il colombo se la prende col padre, e lo aggredisce con violenza. “E non finisce essa pugna [lotta, n.d.r.] insino a tanto che caccia il padre e tolli la mogliera facendosela sua”. A buon intenditor…

Come verranno coinvolti gli alunni delle scuole elementari? In quanti parteciperanno?

GI   Non so dire esattamente il numero, ma saranno probabilmente due o tre classi delle elementari luganesi, sotto la guida del direttore Sandro Lanzetti. Distribuiti sulle piazzette adiacenti al Municipio, a turno ascolteranno l’attrice Cristina Zamboni leggere alcune favole vinciane. Storielle d’oggi, inoltre, saranno raccontate loro dagli scrittori Storni, Rondi e Grazia Bernasconi Romano.

La “trasferta“ a Locarno è una première?

GI   Il municipalismo è un vizio di noi ticinesi (per fortuna non solo, si pensi ai ‘maledetti toscani’ dei secoli passati – come li chiamava Malaparte – o all’episodio della secchia contesa tra bolognesi e modenesi, nella celebre Secchia rapita del Tassoni). Piazzaparola, senza voler strafare, si ripromette di portare il suo ‘messaggio’ ad altre città del Cantone. Fin dalla prima edizione (2011) ha organizzato manifestazioni collaterali a Locarno, mantenendo inalterata l’impostazione tematica ma ospitando scrittori diversi. Magari nel futuro verranno coinvolte Bellinzona, Biasca… e altre località. Almeno io lo spero.

Parliamo per finire della sua intensa attività letteraria. Ho verificato con piacere che Wikipedia le dedica un articolo, è una bella soddisfazione.

GI   Certo, essere accolti in Wikipedia (il che suppone il preavviso favorevole di un garante titolato) è una bella soddisfazione. Questa enciclopedia online ha molti difetti, ma almeno un pregio: offre i dati di partenza, imprescindibili, per la ricerca su un particolare autore, scienziato, divo del cinema, ecc., facilitando il lavoro dello studioso o, più semplicemente, andando incontro alla curiosità del pubblico. Sennonché questi dati vanno sempre aggiornati e tenuti d’occhio, non si sa mai con le contraffazioni. Quanto alla mia attività, Wikipedia prende in considerazione solo quella poetico-letteraria, sorvolando sul resto. A dire il vero mi sono occupato e mi occupo tutt’ora regolarmente di critica e saggistica. Tra creazione e ricerca ho istituito una sorta di par condicio. Tuttavia non è ancora uscito un libro che raggruppi questi ‘esercizi di lettura’, per dirla con Contini, tanto che la mia bibliografia ne esce penalizzata. La responsabilità è soltanto mia: sono troppo pigro per ricuperare e suddividere in tematiche i numerosi articoli prodotti nel tempo, e così la loro pubblicazione in volume stenta a realizzarsi. Dovrò comunque sistemare la faccenda un giorno o l’altro, sperando nell’aiuto di qualche giovane ricercatore.

Mi ha colpito un fatto. Le sue opere elencate sono numerose ma la prima risulta edita soltanto nel 1989. La scrittura, un amore tardivo? O un editore che non si trovava? (scherzo)

GI   È vero. Il mio primo libro uscì nel 1989, in età non più giovanissima. Potrei cavarmela con una battuta: esistono i precoci e i tardivi, e io sono uno di questi. In realtà le cose non stanno così. Scrivo poesie fin dall’adolescenza eppure, nonostante le periodiche sollecitazioni ricevute nel corso degli anni, l’incontro col pubblico è stato rimandato per lungo tempo. Il motivo? Non che stentassi a trovare un editore, il fatto è che non mi sentivo mai pronto, ero assillato da mille scrupoli. Le cose scritte nei decenni Sessanta-Settanta, in effetti (ne conservo un certo numero di fogli, alcuni pubblicati con una certa reticenza nella rivista Opera Nuova in occasione del mio settantesimo), risentivano troppo dello stile delle Neoavanguardie allora di moda. Una voce interiore mi suggeriva: “Aspetta ancora, verrà il momento propizio”. Ero alla ricerca della mia vera identità, detto in modo sommario, e di inedite forme espressive. In quel periodo leggevo molto, viaggiavo (India, Medio Oriente, Afghanistan, paesi in quegli anni poco frequentati) non senza prendermi dei rischi, accumulavo esperienze e idee e concentravo il mio lavoro nella critica letteraria, per non dimenticare gli impegni professionali in qualità di insegnante. Nel 1979 partecipai alla fondazione della rivista Bloc Notes, che, ritengo, abbia aperto nuove prospettive culturali nel nostro paese. Le vigilie incustodite, uscite con la prestigiosa, anche se un po’ bizzarra prefazione di Guido Ceronetti, sviluppavano in realtà intuizioni e spunti creativi nati durante il decennio. Stappata la prima simbolica bottiglia, i tempi di pubblicazione si sarebbero accelerati, come documenta con precisione la voce di Wikipedia.

A che cosa sta lavorando, in questa disastrata estate?

GI   Fortunatamente il mio lavoro non si lascia condizionare dalla meteorologia, altrimenti avrei dato il via a un’ennesima Storia del diluvio universale. Venendo al concreto, sto allestendo una breve silloge poetica – dal titolo provvisorio Liturgia minore – commissionatami da una piccola casa editrice torinese, creata l’anno scorso, che ha già sfornato due o tre prestigiosi volumetti, tra i quali la prima raccolta poetica del teorico letterario Stefano Agosti. Ho anche in cantiere un prosimetro (poesia e prosa in alternanza) dedicato al tema del supermercato. Non un predicozzo sociologizzante (Dio me guardi!), bensì l’evocazione di una sorta di ‘memoria edenica’ racchiusa nei prodotti della natura trasformati in merce. Il tutto da ricondurre a una personale riflessione sulla questione del labirinto,… ma è troppo presto per fornire dettagli.

Lei rimpiange la sua scuola e i suoi allievi?

GI   Trentacinque anni e passa di attività didattica devono pure aver contato qualcosa. Non parlerei di nostalgia vera e propria nei confronti della scuola – quel che ho dato ho dato – eppure qualche tenero rimpianto l’ho avuto (ci mancherebbe altro). Sono stato maestro nelle elementari, docente di italiano al ginnasio e per molti anni presso il liceo cantonale di Lugano I e alla Supsi. E così ho percorso pian piano l’intera gamma scolastica: un’esperienza bella e indubbiamente ricca, diversificata! Come dimenticare la carica positiva che ti danno gli studenti? I loro sguardi talvolta sornioni o indecifrabili, le loro domande che, sebbene possano apparire in alcuni casi mal poste o addirittura stravaganti, sono solo indizi di irrefrenabile vitalità? Il dialogo continuo con i giovani – anche negli inevitabili momenti di difficoltà causati dal fisiologico ‘scontro’ generazionale – è l’aspetto dell’insegnamento che mi ha arricchito di più. Non vorrei passare poi sotto silenzio la sensazione (altra cosa è la certezza) di aver contribuito alla loro formazione umana e culturale, di averli stimolati a riflettere sulla lingua nei suoi molteplici usi, a leggere qualche buon libro. Il tutto sempre nella prospettiva dell’interscambio, vale a dire dell’aggiornamento reciproco. Se ho lasciato un segno nei miei allievi (‘insegnare’ vuol dire appunto imprimere un segno), loro ne hanno lasciati numerosi in me.

Siamo stati colleghi d’istituto per tanti anni. Citi un ricordo nel quale ci sono anch’io.

GI   Mentre a far lezione prendevo gusto, mi davano al contrario sui nervi gli ‘eventi collaterali’ della vita scolastica: i fumosi, interminabili collegi dei professori in particolare. A sollevare gli animi provvedevano le brevi pause ‘ricreative’ trascorse nell’aula docenti (penso al liceo). Potevi osservare molti colleghi assorti, chini sui giornali o su azzurrognole, magari stropicciate tabelle. Altri preferivano la chiacchiera, la battuta più o meno spassosa, o, ahimé, gli indecorosi gossip sugli studenti. Non nego che il collega De Maria fosse uno degli animatori più brillanti di questi effimeri convivii, col gusto della provocazione ironica che i più prendevano fin troppo sul serio. Ricordo che una volta pronunciò una parola stravagante, tratta dagli antichi bestiari: catoblèpa, che sta per ‘colui che guarda in giù’. Era l’epiteto poco laudativo appioppato non so da chi a un giornalista locale, sicuramente non della parte politica dell’amico De Maria. Apriti cielo! Metà dei presenti (anche chi ignorava il significato del termine) reagì con mal repressa ira. A gettare acqua sul fuoco intervenne un austero professore di greco, che si limitò a rettificare gli accenti: “Si pronuncia catòblepa, non catoblépa”. Vedete a cosa serve possedere le lingue classiche?

NOTA. Guarda guarda, interessante. Il passato che ritorna! La battuta prese origine da un (mitico e provocatorio) articolo di Gianfranco Soldati, pubblicato su Gazzetta Ticinese, dal titolo “Il catòblepa ipotelorico e ringrugnito”, che prendeva di mira quale vittima designata il giornalista Silvano Toppi. La dotta correzione fu impartita dal professor Giancarlo Reggi.

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