VoltamarsinaCambiare si può?

I cosiddetti “voltamarsina” o “voltagabbana” vengono chiamati in tedesco “Slalomfahrer” o “Wendehälse”, “colli girevoli”, come quello del gufo, che per una speciale configurazione della colonna cervicale può girare la testa a 360 gradi. I termini italiani definiscono politici che hanno cambiato partito, quelli tedeschi politici che cambiano opinione al mutar del vento, talora anche cadendo in clamorosa contraddizione con opinioni espresse poco tempo prima, con il solo scopo di tenersi a galla.

Il “voltamarsina” in auge in Ticino risale ad un opuscoletto, edito nel 1933, di un sacerdote, don Francesco Alberti (1882-1939), giornalista e poi direttore del “Popolo e Libertà” dal 1935 alla morte. In pratica, una sollecitazione a mantenere la fedeltà al partito dei padri, ereditato con l’acquisizione del diritto di voto, anche se non se ne condivide più l’indirizzo. Detto altrimenti, a rimanere al servizio (elettorale) dei quadri del partito. Questa nozione di fedeltà è sempre stata alla base della tattica adottata da tutte le chiese del mondo per tener unito il gregge (dei fedeli, non delle pecore). Era quindi naturale e logico che un sacerdote direttore di un giornale di partito cercasse di imporla anche nel campo politico. Se uno cambia partito, è un “voltamarsina” (l’ho fatto 2 volte), con tutta l’intonazione spregiativa che il termine comporta. Ma uno che non lo cambia quando non ne condivide più l’azione politica è un “poveretto”, con tutta l’intonazione caritatevole che il termine comporta.

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Accettereste un pagamento in CRURU-RURERA?

Alfonso Tuor, in un articolo stringato e centrato come sempre sul “CdT”, riferisce di un tentativo degli stati BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) di sottrarsi all’ingiustificata, opprimente e dannosa supremazia del dollaro nel commercio mondiale. La critica si rivolge in modo particolare alla gestione dei fondi internazionali (anche la Svizzera mette a disposizione decine di miliardi di franchi) da parte del FMI (Fondo monetario internazionale, attualmente diretto, sotto stretto controllo statunitense, da una francese, Christine Lagarde). Una gestione tesa a tutelare prevalentemente gli interessi dei paesi occidentali e oggetto da anni di pesanti quanto vane critiche dei paesi tutelati (e, alla fine se ne accorgono, danneggiati). Qui Tuor pecca di eccessiva prudenza: avesse scritto: “ tesa a tutelare gli interessi degli Stati Uniti”, si sarebbe maggiormente avvicinato alla verità. Riuniti a Fortaleza, Brasile, gli stati BRICS hanno deciso di fondare una loro banca con un capitale di 100 miliardi di dollari (per il momento siamo ancora lì, ai dollari da cui ci si vuol liberare) e di mettere a disposizione per aiuto a eventuali stati caduti in difficoltà 500 miliardi, ancora una volta di dollari. Giustamente Tuor considera questo un primo passo di efficacia limitata, ma che avrà conseguenze di imprevedibile portata in un futuro non così lontano come si potrebbe pensare. Personalmente auspico che i BRICS giungano presto a creare una loro moneta valida per tutto il commercio mondiale, di cui poter usufruire in alternativa al dollaro. In segno di simpatia suggerisco gratuitamente un nome da dare a questa ipotetica e futura moneta di scambio: “CRURU-RURERA”. Da CRUzeiro, RUblo, RUpia, REnmimbi, RAnd. Un nome, ne convengo, cacofonico e ostico, quanto lo sarà la battaglia per imporre la nuova moneta.

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Dopo la sbornia, il mal di testa

Ho letto dell’insegnante sconfitta in un gioco televisivo per non aver riconosciuto il Consigliere di Stato Paolo Beltraminelli. Insegnanti di questo livello sono il regalo lasciatoci dai sessantottardi con la loro lotta per una scuola permissiva. Ho già scritto di due maestrine mie pazienti: una si lamentava per l’insegnamento eccessivamente faticoso che le aveva fatto venire le vene “virgolose” al posto di quelle varicose. L’altra perché l’ingestione di un dato medicamento le aveva procurato un’”eruttazione” cutanea al posto di un’eruzione. Ma, finiti i postumi dell’ubriacatura sessantottesca, non vi è motivo per dubitare di un prossimo ritorno alla normalità.

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White uccello del malaugurio, White pronostica la catastrofe

In un recente “Dialogo” la banca Notenstein ha intervistato William R. White, già capoeconomista fino al 2008 della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea, una specie di “banca delle banche centrali”. White è conosciuto per aver previsto e predetto per anni la crisi del 2007, voce clamante nel deserto, sorte comune di tutti coloro che prevedono troppo presto gli sfaceli che gli andazzi finanziari del momento stanno covando. Nei paesi industrializzati White intravede una prosecuzione, anzi un’accentuazione della politica che ha condotto al disastro del 2007-2008, motivo per cui crede che una nuova e più aspra crisi sia in preparazione. Se questi stati troppo indebitati continueranno a farsi finanziare dalle loro banche centrali, lo scoppio improvviso e vigoroso di un’inflazione di tipo sudamericano non mancherà di sorprenderci. Dal 2008 in poi la politica monetaria è stata estremamente accomodante e riguardosa per i debitori, ciò che ha condotto le banche centrali di USA, GB e anche Svizzera a quintuplicare i loro bilanci. La BCE, più conservativa, li ha solo duplicati, ma è sempre troppo. I tassi d’interesse sono azzerati, il denaro circola solo nella finanza, la propensione alla spesa da parte di persone e quella agli investimenti da parte delle aziende è ai minimi termini. Tutto quello che occorre, aggiungo, per approfondire una deflazione già ben presente in UE, stati del Nord solo parzialmente esclusi. La Banca dei Regolamenti Internazionali stima che il debito sovrano complessivo sia attualmente superiore del 20% a quello esistente all’inizio della crisi (2007). Aumento del debito in una crisi causata dall’eccesso di debito significa in pratica che la crisi invece di essere in via di soluzione, come tentano di far intendere i plutocrati di Bruxelles, si sta aggravando. Con prospettive paurose, aggiungo io, per la sorte dei paesi occidentali, che si vedranno costretti a tornare a fare il passo secondo le loro gambe da cani bassotti. “Dialogo” pubblica anche un interessante diagramma della variazione percentuale dei debiti delle economie domestiche, delle società non finanziarie e degli Stati dal 2007 al 2013. Nell’ordine (privati, aziende, stato): +5, +10 e +44 . Per gli USA -17, +5 e + 39. Regno Unito -5, invariato e +52. Giappone invariato, +3 e +60. Svizzera, unico stato ad aver diminuito il debito pubblico, ma purtroppo non altrettanto solerte per debiti domestici e aziendali, + 16, +16 e -7. Per gli altri 4 stati citati, come si vede, massiccio aumento del debito pubblico, 44, 39, 52 e 60%. Gli stati, lo sappiamo, non possono fallire, ma possono non pagare i debiti. A scapito di chi? Come sempre, da quando mondo è mondo, cioè da quando i fenici hanno inventato quel che hanno inventato (il denaro), a pagare sono i risparmiatori, ricchi o poveri che siano. In particolare i pensionati, la pensione essendo la forma di risparmio più diffusa nel mondo moderno.

White termina il discorso con proposte che danno adito a qualche speranza, e non voglio certo privarne chi ha avuto la pazienza di seguirmi fin qui. Dapprima una ristrutturazione del debito pubblico, poi uno scenario di crescita più sostenuta (come però non lo dice, ci sta pensando per noi Renzi), con una politica monetaria cautamente più restrittiva (ci stanno pensando per noi Draghi e Janet Yallen, Signora della Fed). E con il necessario ritorno a tassi d’interesse e d’inflazione “fisiologici”. Ma questa è una mia aggiunta da economista dilettante.

Gianfranco Soldati